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Da Rocca a Conti, passando per Di Bartolomei: figli di Roma che lasciano con rabbia e amore

La partita di addio. Tanti i capitani e bandiere che hanno chiuso la loro storia con gioia e anche dolore. Le facce di una medaglia. Al valore

26 Maggio 2019 - 13:07

Quando a dare l'addio è un figlio di Roma, un capitano, cioè una bandiera, è sempre un'emozione fortissima, indelebile. Un misto di amore e malinconia, che avvolge il cuore del tifoso giallorosso tanto da renderlo fino, come una medaglia, già, a due facce. Al valore. Brividi e tremore che attraversano la memoria, applausi e ovazioni. Giornate da romanisti rimaste scolpite nel cuore dei tifosi.

Lode a te Francesco Rocca

Così accade per Francesco Rocca, il primo di una serie di commoventi addii, in occasione dell'amichevole con l'Internacional di Porto Alegre del 29 Agosto 1981, quando ad appena 27 anni Kawasaki riceve l'abbraccio di cinquantamila persone che si stringono intorno al suo dolore per doversi ritirare, così presto, troppo presto. «Francesco, Francesco», grida l'Olimpico: lui corre, scatta e dribbla fino al 19', quando alza il braccio (era previsto giocasse un quarto d'ora). Stop alla partita (che poi riprende e finisce 2-2) per l'abbraccio di tutti, il momento è duro. Sul tabellone dello stadio la scritta "Grazie Francesco". Poi il giro di campo alla testa dei ragazzi che andrà ad allenare, prima di fermarsi sotto la Sud in ristrutturazione che intona: "Lode a te Francesco Rocca".

Oh Agostino

C'è un addio pieno di dolore e rabbia per uno dei più grandi capitani della storia della Roma, Agostino Di Bartolomei. È ovvio che la data del 30 maggio 1984, l'incubo Liverpool, sia rimasta una ferita mai rimarginata, ma Ago l'ultima vittoria con la sua maglia la ottiene il 26 giugno 1984, 1-0 contro il Verona, in finale Coppa Italia, la terza conquistata nell'era Viola, per lui due volte amara. Perché non solo non cura quella ferita, ma rappresenta l'addio al suo mondo. "Ti hanno tolto la Roma, non la tua curva", gli scrive la Sud. Di Bartolomei deve lasciare la sua squadra, che per rivoluzionarsi ha scelto Eriksson, giovane allenatore svedese che il calcio lo immagina senza Agostino. Il giro di campo con la coppa alzata al cielo è un misto di gioia per averlo avuto e di dolore per doverlo salutare. Lui, molto deluso, dirà addio con la solita dignità, si trasferirà al Milan, voluto dal maestro Liedholm. Ritroverà la Roma da avversario la prima volta a San Siro e segnerà il primo gol del 2-1 finale, con un'esultanza rabbiosa.

C'è solo un Bruno Conti

Nella commozione collettiva, emozione dopo emozione, dà l'addio al calcio Bruno Conti, il 23 maggio 1991, all'indomani di una finale di Coppa Uefa persa in casa con l'Inter: la squadra di Ottavio Bianchi vince 1-0 ma non basta per poter alzare al cielo la coppa visto il 2-0 della partita di andata a San Siro. Il "Granfinale" va in diretta Rai e si affrontano la Roma Campione d'Italia '83 e una selezione brasiliana. Ci sono più persone che la sera prima e tante bandierine con l'effige di Marazico. C'è Falcao, c'è Ago, ci sono i figli di Bruno. "Un Bruno Conti, c'è solo un Bruno Conti" alternato a "Bruno Conti sindaco de Roma", i cori di uno stadio intero. Poco dopo il calcio d'inizio Prohaska butta fuori la palla, perché il gioco deve fermarsi: Conti si dirige verso la Tribuna d'Onore e regala a Flora Viola la sua maglia, nel ricordo del compianto Dino Viola. Sedici anni di Roma: 401 presenze nelle diverse manifestazioni in cui la Roma è stata impegnata e 47 gol. Quante volte si è inginocchiato sotto la sua Curva. Lo fa per l'ultima volta piangendo a dirotto in una serata da ottantamila cuori accesi di maggio.

«Non doveva finire così»

«Vi ringrazio, non doveva finire così, ma con qualcosa di meglio», è il commiato amaro con cui ha lasciato il calcio Giuseppe Giannini, il Principe. Abbracciato a un giovane Totti e Bruno Conti, disperato sulle note di "Grazie Roma". La partita d'addio del capitano degli Anni 90, il 17 maggio 2000, finisce con un'altra invasione dell'Olimpico (dopo quella per lo scudetto della Lazio di pochi giorni prima). Zolle del prato strappate, porte distrutte, tremila tifosi sul campo dopo che inspiegabilmente si è aperta una porta della Curva Sud (anche gli Internazionali di tennis vengono danneggiati). Eccesso d'amore, lo chiamerà il Principe, ma anche rabbia per il successo dei biancazzurri e il flop della Roma di Capello (molti i cori contro Sensi nel Giannini-day, preceduto da una manifestazione anti-laziale: "Roma rimane giallorossa" recita uno degli striscioni). Che poi Giannini la Roma l'aveva lasciata da quattro anni, per approdare allo Sturm Graz nel 1996-97, rientrare in Italia nel Napoli di Mazzone 1997 e infine chiudere nel 1998-99 a Lecce. È il 5 maggio 1996 e la Roma vince 4-1 a Firenze con una doppietta di Balbo e una di Delvecchio, contro i viola allenati da Claudio Ranieri. Giannini, ammonito dal signor Pellegrino di Barcellona Pozzo di Gotto in quella gara, sarà costretto a saltare l'ultima in casa, Roma-Inter, davanti ai suoi tifosi. La Sud però non lo dimentica e gli rende omaggio con lo striscione: "Solo chi la ama e chi soffre per la maglia ha il diritto di onorarla per sempre. Grazie capitano".

«Vi amo»

«Maledetto tempo». È così che chiude la sua carriera il giocatore che ha fissato più record nella storia della Roma. Una carriera dedicata ad una sola squadra di calcio. È storia recente l'addio di Francesco Totti al calcio giocato. Con un pallone lanciato in Curva, quella stessa che ha da poco ricordato a tutti che "Totti è la Roma", sul quale scrive: "Mi mancherai". Quarant'anni suonati, le incomprensioni con il suo ultimo tecnico Spalletti, la Champions raggiunta all'ultimo con il gol di Perotti contro un Genoa indomito. La serata perfetta, con il discorso di Francesco in mondovisione, che ai suoi fratelli romanisti che piangono insieme a lui da ore dice: «Vi amo».

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