Come Guerre Stellari
Il ko casalingo col Plzen fa risaltare due visioni contrapposte fra i tifosi in tribuna. Da un lato chi vuole dare tempo a Gasp e si focalizza sulla classifica, dall’altro chi rivorrebbe Ranieri
(GETTY IMAGES)
«Mi preoccupa che cambi sempre formazione»; «Ma tu hai capito se Wesley gioca a sinistra o a destra?»; «Io a Cristante non avrei rinunciato»; «Meno male: finalmente ha tolto Cristante!»; «Ancora con Dovbyk?!?»; «Fa bene ad insistere con Dovbyk».
Ora, i minuti che mi separano dal fischio di inizio sono pochi e mi dico «per fortuna», visto che, nella ridottissima fila all’ingresso dell’Obelisco e nella quasi inesistente fila ai tornelli, sento dire tutto ed il contrario di tutto. È come se galleggiassimo in una sorta di limbo, in attesa di prendere consapevolezza di chi siamo e, soprattutto, di cosa saremo da qui a qualche mese. C’è, difatti, chi si sente rincuorato dalla circostanza che Ranieri sia «ancora tesserato per la Roma» e, in caso di necessità, disponibile senza troppi affanni; chi, all’opposto, è fiducioso perché vede il gioco di Gasperini prendere, a poco a poco, forma, anche «se la strada si vede che è lunga, speriamo non troppo».
La sintesi di tutto questo ce la dà un dato di realtà: siamo secondi in Campionato, ad un punto dalla prima, dopo sette partite ma, di contro, ne abbiamo perse, tra Campionato e Coppa, addirittura quattro giocando in casa. Chi siamo, quindi, noi? Siamo quelli che hanno spaventato l’Inter nel secondo tempo o quelli che non sono riusciti a recuperarne una, tolta Firenze, una volta andati sotto?
La sensazione è che prevalga comunque la fiducia: «stasera vinciamo»; «vedrai che segna una punta»; «questi non sono nessuno». Peccato, però, che, pronti via, ne mettiamo uno da solo davanti a Svilar. Ma peccato, soprattutto, che in mezz’ora si capovolga il nostro universo. Perché il problema non è soltanto che ti abbiano segnato «che nemmeno in terza categoria, con l’attaccante di trent’anni che ruba palla al difensore de quindici», o che un secondo dopo ci abbiano segnato «a difesa schierata, con un tiro da casa mia», ma il problema è ben altro, e cioè che Gasperini senta l’esigenza di ridisegnare la squadra: fuori Ziolkowsky, dentro Elsha, Celik nuovamente sulla linea dei tre dietro. Questo produce, immediata, la reazione di una serie di seggiolini, che spazia dallo «speriamo che abbia capito dè non avecce capito gnente all’inizio», allo «così un giocatore l’ammazzi: levallo dopo manco mezzora vor dì stamo a perde pè corpa tua».
Ma lo senti che la preoccupazione maggiore, ora, non sia tanto per questa partita o per il giovane difensore polacco, ma che riguardi ben altro, e cioè che Gasperini davvero non abbia il governo della squadra. Perché non è possibile che la Roma, anche “questa” Roma, sia in balia del Viktoria Plzen. Non è possibile. Ed allora, se non è possibile, delle due, l’una: «O Gasp è in confusione o la squadra non lo segue». E non sai cosa sia peggio. Poi, però, qualcosa inizia a vedersi. Poco, in verità, ma qualcosa che lascia sperare («Davanti si muovono di più e si cercano»; «Dovbyk ha fatto una bella giocata all’inizio: diamogli tempo»; «Dybala sta tornando Dybala»).
Ma arriva l’intervallo, che si porta dietro mugugni e dubbi sempre più radicati, perché comunque stai perdendo, in casa, due a zero («Non la pareggi. Inizia a segnarti la quarta sconfitta in casa della stagione: eccola, è stasera»). Entra, però, Pisilli e, stavolta, entra come la Tevere lo conosce («È incisivo, palleggia a corre”»), arrivando, con un suo inserimento, a procurarsi il rigore («Questo lo segniamo: quattro de seguito ‘n s’è mai sentito»). Che, va da sé, tira e segna Dybala. Ed allora, stante che siamo al 54’, lo senti che il pareggio viene dato, compattamente, da tutti i seggiolini come cosa certa («L’abbiamo ripresa, tranquilli») e che ci sia spazio quasi certamente anche per altro.
Poi, però, lì davanti non prendi praticamente mai la porta e Gasperini continua a cambiare posizioni («Wesley lo stà a mette dapertutto: l’ho visto dù minuti fa che marcava uno a Piazza Mazzini») e giocatori («Bailey adesso farà l’ala o la mezzala? Non vorrei che giocasse in mezzo») e questo aumenta la preoccupazione che il problema non sia della incapacità di qualche giocatore di inserirsi negli schemi dell’allenatore ma, viceversa, in quello dell’allenatore di non avere chiara l’idea di gioco da trasmettere alla squadra («Non vorrei che giochiamo sempre senza una punta perché Gasperini non ha ancora capito come fargli arrivare il pallone»; «Io temo che Gasperini sia vittima della sua voglia di sperimentare»).
Sta di fatto che qualche pallone potrebbe entrare, sembrerebbe, se la fortuna, se un piede, se ogni tanto tirassimo, se si entrasse in area più decisi, se Bailey avesse preso lo specchio. Ma non succede. Ed allora l’uscita dalla Tevere non è arrabbiata, non è delusa, non è disincantata. L’uscita dalla Tevere è altro, ed è forse peggio: è un’uscita confusa. Perché c’è tutto un mondo che ritiene che sia giusto «dargli tempo» e che sia necessario «aspettare che i giocatori lo capiscano bene, che qualcosa già si vede, altrimenti non stavi a quindici punti»; un altro mondo che ritiene, invece, che vi sia necessità di «sbrigasse a dì a Ranieri de rimettese la tuta, che ancora la stagione se po’ salvà».
Due mondi che sembrano non incontrarsi mai, che vanno da un opposto all’altro, che si incontrano, però, nella battuta di sintesi di un attempato tifoso, che, poggiandosi al corrimano scendendo le scale, declama a gran voce: «A sentivve tutti, da ‘na parte vincemo il Campionato e, dall’altra, in Europa uscimo ai gironi: fate pace!». Ed è in quel preciso momento, ascoltata quella divertita e spietata riflessione, che mi è apparso davanti agli occhi il Bar di Guerre Stellari. Altro che tribune dell’Olimpico. Il Bar di Guerre Stellari. Niente di meno. Se qualcuno ha il numero, chiami George Lucas, per favore. È arrivato il momento.
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