Quelle sfide in famiglia: pure Liddas in campo
Nel 1982 finì 17-15. Si giocò fino alla vittoria del Barone


Il 27 ottobre 1982 l’amichevole tra titolari e riserve disputata a Trigoria è finita 17-15 per i titolari. Un punteggio forse unico nella storia della Roma, forse nella storia del calcio. Non siamo ai livelli del match tra John Isner e Nicolas Mahut disputato a Wimbledon nel 2010 e vinto dal primo 70-68 al quinto set dopo 11 ore e 5 minuti spalmati in tre giorni, ma quasi. Nessuno sa dire quanto durò quella partita in famiglia giallorossa, ma è noto il perché. In campo quel giorno scese anche Nils Liedholm e la gara, semplicemente, si prolungò finché la sua squadra non aveva conquistato il vantaggio. Niente di nuovo per lui. «Quando allenavo a Monza, si giocava fino a notte inoltrata, finché non vincevamo noi e dovevano venire i custodi a cacciarci dal campo». Al di là delle leggende sul Barone, le cosiddette “partitelle in famiglia” hanno spesso fatto parte della storia delle estati giallorosse, perché erano un test utilizzato per cominciare ad abituarsi al ritmo partita.
Gli Anni 50
Il 24 agosto 1950 si giocò a Rieti, con due tempi di 30 minuti e la vittoria dei titolari per 8-2. Fu una partita preceduta da una lunga cerimonia “officiata” dal sindaco di Rieti, con discorsi anche del consigliere delegato del CONI e del tecnico romanista Adolfo Baloncieri. Primo tempo finito 3-2 per i titolari (gol di Tontodonati, Andersson e Spartano) sulle riserve (gol di Brunella e Bacci su rigore), altri cinque gol nella ripresa per i titolari (con Tontodonati, Anderson su rigore, Lucchesi e altri due di Tontodonati). Subito dopo la fine della partita la comitiva giallorossa torna a Roma, con Baloncieri che si dichara soddisfatto e i tre svedesi Sundqvist, Anderson e Knut Nordahl che si mettono a caccia di una sistemazione per la loro annata romana. Non sarebbe finita bene, ma poi la Roma si sarebbe ripresa e quella che sarebbe tornata a presentare una sfida in famiglia il 21 agosto 1955 allo Stadio Torino sarebbe stata una squadra ben difesa. Roma A batte Roma B 4-2, tre gol di Galli e uno di Da Costa per i titolari, doppietta di Prenna per le riserve. Fu una mossa a sorpresa, senza alcun annuncio, e infatti gli spalti erano vuoti. I tifosi romanisti lo vennero a sapere solo il giorno dopo. Ah, il 21 agosto era domenica e la partita si giocò alle 8 del mattino. Un incentivo non allo spettacolo, ma sicuramente alla segretezza.
Il “battesimo” dell’Olimpico
Un tentativo simile, ma fallito, era stato fatto il 16 aprile 1953, per quello che a tutti gli effetti è il primo evento sportivo mai avvenuto allo Stadio Olimpico. Un test del manto erboso, un mese prima dell’inaugurazione, richiesto dal CONI. La Roma si allenò quindi nel nuovo stadio, con un’amichevole tra titolari e riserve, vinta 5-1 dai primi e con Helge Bronée che diventò il primo atleta capace di far gol allo Stadio Olimpico. Non era precampionato, ma l’evento è rilevante perché racconta di una Roma che è stata la prima entità a usare l’Olimpico.
Sotto il diluvio
Il 25 luglio 1991 si rivede Roma A-Roma B, senza segretezza, anzi. Si gioca ad Asiago, sotto gli occhi del nuovo presidente Giuseppe Ciarrapico, che forse si sente un po’ Gianni Agnelli a Villar Perosa durante la consueta Juve A-Juve B. La Roma di Ottavio Bianchi è in ritiro da qualche giorno e i titolari vincono 3-0 con i gol di Voeller, Rizzitelli e Carboni, su un campo reso quasi impossibile dalla pioggia. Ciarrapico assiste accanto a Gianni Petrucci, che dopo pochi mesi lascerà la Società, e dichiara: «Non ho formulato grandi programmi di vittoria, perché ho il pallino della storia contemporanea e ricordo come andò a finire la seconda guerra mondiale. Vinse quello che aveva dichiarato: “Siamo messi male, vi prometto lacrime e sangue”. Non arrivo a tanto, ma le fanfare non mi piacciono. Ecco perché mi piace Bianchi. Ho visto il suo equilibrio nel momento del successo e lo reputo una garanzia nelle difficoltà».
Bianchi sarebbe andato via dopo un anno, lacrime e sangue sarebbero arrivati nel 1993, ma in società.
La squadra non perse mai la dignità e quando uscì dal campo dopo la commovente finale di Coppa Italia persa (ma vinta 5-2 al ritorno) col Torino, c’erano già Pietro Mezzaroma e Franco Sensi.
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