Due anni fa Siviglia-Roma: l'ingiustizia non si scorda
Le follie di Taylor ci hanno rubato un trofeo. Il ko della Puskas Arena rimane la più grande sliding door del recente passato

(GETTY IMAGES)
«Oh, ma questo è rigore! Rigore netto! Come fa a non darlo?! Non può non intervenire il Var!»: è quello che ci siamo detti tutti (depurato delle espressioni non ripetibili) indipendentemente dal luogo in cui ci trovassimo, quel 31 maggio di due anni fa. Che fossimo alla Puskas Arena di Budapest, a Roma davanti a un maxischermo, oppure a casa - inginocchiati a pochi centimetri dalla TV - tutti abbiamo assistito increduli all’Ingiustizia. Merita la maiuscola, perché quanto messo in atto da Anthony Taylor da Manchester e dai suoi collaboratori è l’atto ingiusto per antonomasia: perché, nel momento in cui si decide di soprassedere sull’evidente fallo di mano in area del Siviglia che dovrebbe essere punito con il rigore - in quel momento stai derubando un intero popolo del suo sogno. Stai calpestando le speranze di bambini, ragazzi e adulti; stai metaforicamente sputando sui sacrifici di chi ha speso uno stipendio (o anche di più) per essere qui, a Budapest, per la finale di Europa League.
Il 31 maggio 2023 avrebbe dovuto essere il giorno dopo il 30 maggio, che è la data più dolorosa della nostra storia, e invece si è rivelato il giorno dell’Ingiustizia. Che va a sommarsi all’ingiustizia sportiva del 30 maggio 1984 e a quella umana, tragica del 30 maggio 1994. Con la differenza che, mentre il 30 maggio 1984 è crudeltà figlia del regolamento (quei maledetti rigori...), il 31 maggio 2023 è la crudeltà che nasce dall’assoluta follia - ed è perciò immotivata. Mourinho se l’è sentita subito addosso, quell’Ingiustizia, è si è ribellato come fa chi sa di aver subìto un sopruso: Mou - come tutti noi - si è sbracciato, e hanno dovuto reggerlo in quattro, perché di fronte alle ingiustizie non si può semplicemente abbassare la testa. José, nella pancia della Puskas Arena, ha dato voce alla nostra rabbia. Lo ha fatto senza mezzi termini, utilizzando l’unico strumento possibile: la verità. L’ha tirata in faccia a Taylor e ai suoi come uno schiaffo; uno schiaffo che era pur sempre una carezza, rispetto a quello che avevamo appena preso noi.
L’avvicinamento a quella partita, a un anno dal trionfo in Conference, ci aveva fatto vivere un altro sogno: l’attesa febbrile, la caccia al biglietto e al volo last-minute, le conversazioni con amici e parenti che vertevano soltanto su quella partita... Il risveglio da quel sogno è stato brusco, perché siamo stati buttati giù dal letto. E non è vero, come disse il señor Matic a un Dybala inconsolabile, che «it’s football». No, caro (si fa per dire...) Nemanja: è la Roma. Non è football. E il fatto che tu capisca la differenza spiega perfettamente il perché tu abbia preferito andare al Rennes. Quelle lacrime di Dybala sono le lacrime di un bambino disperato perché s’è visto portare via il suo sogno. Sono le lacrime di tutti i romanisti.
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