AS Roma

Il "cattivo" che scalda il cuore

Mancini è entrato definitivamente nella storia romanista. Col gol nel derby e la festa finale è amato qui e inviso agli altri

Mancini sotto la Curva Sud

Mancini sotto la Curva Sud (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Fabrizio Pastore
08 Aprile 2024 - 07:00

Ci sono giornate da ricordare, registrare in ogni dettaglio e raccontare ai nipotini negli anni a venire. Per Gianluca Mancini una di quelle sarà il 6 aprile 2024. Quando da “semplice idolo” dei tifosi della Roma è assurto al rango di eroe immortale. Potere dei derby e di chi li decide con quei gol che restano scolpiti a caratteri cubitali nella storia romanista. Ma per l’upgrade dalla gloria all’eternità serve l’empatia con la propria gente, l’interpretazione di un sentimento popolare «che nasce da meccaniche divine». Nei suoi cinque anni romani Mancio ha colto perfettamente l’essenza della gente che lo ha adottato: fornendo impegno costante, grinta e spirito di sacrificio. Quest’ultimo esaltato da un’altissima soglia del dolore, che gli ha permesso di restare in campo anche quando non era al top della condizione (compreso il derby), a prescindere da chi fosse l’allenatore. Tutti valori apprezzati da compagni, tecnici e sostenitori al di là delle prestazioni, che nel complesso hanno comunque abbondantemente superato la sufficienza.  

La ferocia agonistica e quella sorta di grugno d’ordinanza che mostra agli avversari sono dirette emanazioni delle sue caratteristiche e lo hanno reso totem per buona parte del proprio pubblico. Stupisce poco quindi il suo rapporto col settore più caldo del tifo, che lo ha eletto riferimento e che a sua volta lui ringrazia con inchino quando diventa decisivo anche in attacco, come accaduto sabato scorso, per la quinta volta in stagione. Era già successo che Mancio sventolasse una bandiera della Sud, particolarmente significativa: quella che ritrae il volto di Antonio De Falchi. È capitato di nuovo nella sfida più sentita, in pieno spirito derby: fra goliardia e sfottò. Comportamenti adottati - è bene ricordarlo ai moralisti a singhiozzo - su entrambe le sponde. Anzi, su tutte, anche a differenti latitudini. Gli stendardi ostentati a Milano anni fa da Materazzi e Ambrosini, ben più espliciti di una bandiera col topo e il biancoceleste di sfondo, evidentemente sono stati dimenticati. Così come la memoria appare corta da parte di chi oggi lamenta una presunta mancanza di stile: fra simbolismi a dir poco discutibili, sciarpe recanti scritte ben lontane dall’eleganza, cori e gesti tutt’altro che virtuosi, le lezioni dei neo-morigerati appaiono quantomeno fuori luogo.

Istituzioni risvegliate

Eppure la bandiera sventolata da Mancini ha riacceso la Procura federale, silente dal caso Acerbi-Jesus, concluso senza alcuna sanzione. Il presidente Gravina ha annunciato ieri l’apertura di un fascicolo: «È in atto una verifica». Come fosse avvenuto qualcosa al di fuori dell’occhio delle telecamere. Ma tant’è. Sulla base di precedenti diversi, ma riconducibili alla presunta violazione dei «principi della lealtà, della correttezza e della probità in ambito sportivo», Mancini rischia una multa. Come quella comminata ad Acerbi per il dito medio mostrato proprio ai tifosi romanisti, o come la sanzione ai giocatori del Milan per gli slogan contro l’Inter nei festeggiamenti per il titolo di due anni fa. Da parte sua, Gianluca ha spiegato il gesto già a fine gara: «Non volevo offendere nessuno». Chi non ha motivato nulla è Radu, scovato fra i propri ex tifosi al derby mentre indossava una felpa con scritta riconducibile alla simbologia nazista. Per lui il consigliere comunale Bonessio ha chiesto «il Daspo». Ma intanto scuse zero. Questa sì, questione di rispetto. Per il mondo.

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