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Il passato non si dimentica

Grazie José, "Special" per davvero

Il trionfo di Tirana nella storia, ma la più grande vittoria è aver ridato entusiasmo ed empatia ai romanisti

Mourinho bacia la Conference League

Mourinho bacia la Conference League (GETTY IMAGES)

17 Gennaio 2024 - 08:19

I più superficiali commetteranno l’errore di ritenere la vittoria della Conference League il più grande successo ottenuto da José Mourinho nei 622 giorni alla guida della Roma. Non che la notte del 25 maggio 2022 non sia stata un’autentica magia, una sbornia d’amore che racconteremo ai nostri figli e nipoti negli anni a venire: un trionfo atteso 61 anni non può non essere un capolavoro, per il quale lo “Special One” merita (e meriterà ancora) i sempiterni ringraziamenti dei romanisti. L’errore, però, sarebbe pensare che quella serata di Tirana sia più importante di un’altra magia compiuta dal tecnico di Setubal: quella cioè di aver ricompattato un intero ambiente, di avergli ridato entusiasmo dopo anni grigi e apatici, di aver riportato empatia tra squadra e tifosi e di aver fatto sì che l’Olimpico tornasse a riempirsi come non succedeva da tanto, troppo tempo. Sì, perché alla fine l’auspicio di Mourinho si è realizzato. Fin dalla sua prima conferenza stampa, l’8 luglio 2021, nella suggestiva cornice del Campidoglio, lo disse a chiare lettere: «Questa non deve essere la Roma di Mourinho, ma la Roma dei romanisti». Col senno di poi, le sue parole sono state profetiche. 

E l’entusiasmo, palpabile nell’Urbe ancor prima che José sbarcasse, è stato evidente fin da subito, in effetti: a partire da quel murale che lo vedeva a bordo di una Vespa, passando per l’arrivo a Roma, l’affacciata sulla terrazza di Trigoria, e l’indice a indicare lo stemma sulla sciarpa. Sotto, centinaia di tifosi festanti a scandire il suo nome. Era il 2 luglio 2021, e da lì in poi è stato amore. Amore non privo di ostacoli e difficoltà, perché come scrisse Shakespeare «il corso del vero amore non è mai andato liscio». Ma quando - nel giorno in cui tagliava il traguardo delle mille panchine in carriera - l’abbiamo visto correre sotto la Sud per il gol di El Shaarawy al 91’, con quel pugno al cielo, è sembrato quanto di più vicino a Superman potessimo immaginare. Ma, allo stesso tempo, ci è sembrato quanto di più vicino a noi, che stavamo esultando allo stesso modo. 
Giorno dopo giorno ha plasmato la mente della squadra, l’ha bastonata quando è stato necessario (la disfatta di Bodø e la sconfitta in rimonta con la Juve, ma anche la recente debacle di Praga) e l’ha difesa dagli attacchi di certa stampa e dei “nemici”, che da sempre uno come lui attira inevitabilmente su di sé. Si è arrabbiato con gli arbitri, con gli avversari, con i tifosi poco tifosi e troppo spettatori, ha dato vita a una testuggine giallorossa di certo non invincibile, ma tosta come il marmo. L’ha portata fino a una finale europea attesa 31 anni, e in seguito a un trionfo che ha scatenato la festa della città. Non scendevamo in strada da troppo tempo, e averlo fatto di 26 maggio ha assunto un enorme valore simbolico. Il tutto è stato possibile grazie alla spinta del popolo, perché le Rivoluzioni partono sempre da esso. Mou ha guidato la Rivoluzione come la Libertà guida il popolo nel dipinto di Delacroix. Complice la fine delle restrizioni sanitarie, dal 10 aprile (altra data simbolica: l’anniversario di Roma-Barcellona 3-0) 2021 l’Olimpico ha fatto registrare una serie di oltre trenta sold-out. Non si manca di rispetto a nessuno sostenendo - com’è del resto evidente - che ciò sia stato possibile grazie a José, al suo carisma, alla sua capacità di andare in guerra anche contro il mondo. Avere qualcuno che proteggesse, sostenesse, spronasse e accudisse la Roma e i romanisti in questo modo era qualcosa a cui ci eravamo disabituati. Le sue lacrime dopo la vittoria sul Leicester erano «per tutti coloro che amano questo Club», e parole del genere te le aspetteresti da qualcuno che è nato e cresciuto se non all’interno del Grande Raccordo Anulare, per lo meno nelle immediate vicinanze. Ma Mou non è “Special” per caso: ci ha capito, è stato uno di noi e insieme a noi. E questo vale forse anche più di una coppa europea.

A un passo dal bis
Ma i grandi, dopo aver scritto la storia, hanno in testa soltanto una cosa: farlo di nuovo, possibilmente persino meglio. E se l’arrivo di Dybala è stato possibile soltanto grazie alla presenza di Mou in panchina, lo stesso dicasi per la seconda finale europea consecutiva. Solo lui avrebbe potuto rilanciare, quando tutti avrebbero preso il piatto (che già era ben ricco) e si sarebbero ritirati dalla partita. Lui ha alzato l’asticella, fin dall’immediato post-Tirana. Per strada c’erano ancora i segni della grande festa, ed ecco che lui se ne andava in vacanza dicendo di «pensare già alla prossima sfida». E quella sfida ci ha visto cavalcare di nuovo: non senza inciampi, come già accaduto l’anno prima, ma con la ferma consapevolezza che con José in panchina tutto fosse possibile. E quando ci siamo ritrovati a un passo dall’eliminazione dall’Europa League, contro il Feyenoord, abbiamo visto la differenza tra una squadra qualsiasi e una squadra di Mou: il guizzo è stato di Dybala, ma l’essere riusciti a piazzarlo all’89’, pochi minuti dopo aver incassato il gol che ci avrebbe mandato a casa, quella è la firma di José. Quella vittoria ai supplementari è la vittoria di Mou, che non a caso a ridosso del triplice fischio guidava la bolgia dello stadio come farebbe un direttore d’orchestra. A Budapest ci ha difeso, ha difeso il nostro sogno, calpestato da Anthony Taylor e dalle sue scellerate decisioni. Ci ha difeso da certe follie arbitrali e di coloro che muovono i fili del calcio italiano, ci ha messo la faccia ben più di altri, ha lanciato giovani calciatori un po’ per necessità e un po’ per scelta, ha pianto e riso assieme ai romanisti, si è arrabbiato e ha battuto i pugni sul tavolo proprio come loro quando a Budapest siamo stati letteralmente derubati. E, quando la ferita - dolorosissima - era appena stata inferta, lui ci ha rassicurato: «Io resto qua», ha mimato ai tifosi dopo l’ultima gara dello scorso campionato. 

Eppure, forse quel 31 maggio scorso ha segnato l’inizio della fine per quanto riguarda il rapporto tra Mou e la Roma. Non tra Mou e i romanisti: quello, conoscendo le due parti in causa, è destinato a resistere al tempo. Ma i deludenti risultati di questa prima parte di stagione, alla fine, hanno avuto la meglio: i 29 punti in 20 giornate, l’eliminazione dalla Coppa Italia e il secondo posto nel girone di Europa League hanno fatto sì che la storia finisse. 

Il calcio non ha memoria, si dice spesso, e questo lo sa anche il portoghese. Ma le più belle storie d’amore, quando giungono al termine, lasciano questo: dolci memorie e un senso di gratitudine per aver vissuto quei momenti. Grazie, José.

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