AS Roma

Come a Budapest

L’intermezzo poco positivo del campionato ci porta inevitabilmente al 31 maggio. La trasferta in Ungheria unisce in una sola casa i romanisti di tutto il mondo che non ci andranno

Giocatori che esultano dopo la partita con il Leverkusen

Giocatori che esultano dopo la partita con il Leverkusen (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Andrea Buono
26 Maggio 2023 - 10:23

Riuscire a concentrarsi sull’impegno di lunedì pomeriggio con la Salernitana sarebbe stata impresa da stakanovisti atarassici, insensibili al fascino di ciò che ci ha riservato la notte di Leverkusen. Testa e cuore di ogni romanista, vicino o lontano, sono inevitabilmente proiettati a Budapest, al 31 maggio: la seconda finale europea in due anni, qualcosa di unico, incredibile. E la prima di Coppa Uefa (ora, appunto, Europa League) dalla ferita rimasta aperta dal lontano 1991. Allora fu derby (e ad avere la meglio nel doppio confronto fu, ahinoi, l’Inter), stavolta non lo sarà per poco, anche se per tanti costituirà occasione di rivalsa tornare ad incrociare sul nostro cammino quel Monchi che rivoluzionò una squadra capace di raggiungere, a proposito d’Europa, una semifinale Champions. Eppure, nemmeno in questo quasi fastidioso intermezzo di un campionato coi fari accesi su un generosissimo rigore concesso da Pairetto (protagonista anche nello scorso finale di stagione con il gol convalidato ad un Acerbi in evidente fuorigioco a La Spezia) alla Lazio e sulle altalenanti decisioni della Giustizia Sportiva sulla Juventus, la Roma s’è risparmiata, raggiungendo per due volte con caparbietà i vivaci campani. Notizia migliore della serata, tuttavia, il ritorno in campo di El Sharaawy, sùbito in rete, e di Llorente. Ma, proprio a tracciare il fil rouge con la Germania, la cosa più bella del pomeriggio che ha visto andare in scena il penultimo appuntamento casalingo stagionale è stata la risposta, come sempre giunta puntuale, della “gens” romana all’appello del nostro condottiero. Lo Special One, dopo il Bayer, aveva chiesto di accogliere i suoi, i nostri ragazzi con “qualcosa di speciale” e, da Trigoria allo stadio, un anonimo pomeriggio di lunedì è stato un tripudio di clacson, cori e fumogeni. Uno di quegli appuntamenti che riesce ad incrementare a dismisura il livello di “fomento” anche (forse soprattutto) dei romanisti fuori sede, costretti a viverli, cercandone ogni traccia tra le testimonianze degli amici vicini, i social e le radio, assaporandoli non direttamente ed immediatamente. E perciò anche un po’ anche idealizzandoli: immaginate qualcuno che possa pensare al traffico della Capitale, quello magari dovuto ad uno dei tanti sold-out, con il rammarico di non esserne parte. O che vi si sia calato, quando si è organizzato per assistere a una partita, con un entusiasmo inspiegabile, per chi ci è abituato e non lo vive esattamente alla stessa stregua. Esaltazione, perciò, direttamente proporzionale alla frustrazione, unicamente per non essere lì, a Roma, a condividere feste come quella di lunedì con tanti a cui non c’è bisogno di spiegare cosa significhi la nostra grande passione. Sarà così, inesorabilmente, anche per questa nuova finale. Gioia immensa per averla raggiunta e per andare a giocarsi il proprio 50% di chances. Ma anche l’amarezza non tanto di non poter essere in Ungheria, quanto, paradossalmente, di non poterla vivere accanto ad altre decine di migliaia di romanisti, ma a Roma, come l’anno scorso in quella bolgia stupenda che fu l’Olimpico coi maxischermi e dopo per le strade sempre magnifiche d’una città che restò viva e galvanizzata fino alle luci dell’alba (e poi di nuovo nel pomeriggio, con la squadra). Qualcosa che forse potranno provare a capire, questa volta, i romani che non riusciranno ad accaparrarsi un volo per la capitale magiara. Intanto però, se potremo pensare, ancora una volta, maggio dopo maggio, ad un’altra notte così, il merito più grande è di quell’uomo lì, José da Setubal. Siamo entrati nella sua gloriosa storia, come lui è entrato di diritto nella nostra, raddrizzando quel qualcosa che ci impediva sempre di fare il salto di qualità, estirpando la paura di vincere, trasformando l’inclinazione alla beffa e il timore di non farcela in forza, convinzione, determinazione. Convogliando la nostra immensa passione come alla foce d’un fiume. Trovando, insomma, la via. Ambizione, carattere, pragmatismo, unità d’intenti, empatia: sono i principali ingredienti che hanno portato questa grande famiglia, da chi scende in campo a combattere dando tutto se stesso a chi incita dagli spalti, fino a chi soffre in un club oppure in compagnia o da solo, alla radio o davanti alla tv, vicino o lontano, di cui ciascuno si sente orgogliosa parte integrante, a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Per la nostra amata e magica Roma!

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