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Le parole

Mourinho: "I romanisti sono speciali, sono io che ringrazio loro"

Parla il tecnico: "Il bello di questa disciplina è l’empatia, la solidarietà e prevede la ricerca nella gioia di vincere. Purtroppo non c'è spazio per i più deboli"

José Mourinho durante una conferenza stampa

José Mourinho durante una conferenza stampa (GETTY IMAGES)

La Redazione
31 Marzo 2023 - 19:37

Il tecnico della Roma José Mourinho ha parlato nel corso dell'incontro tenutosi oggi con il Cardinale José Tolentino. L'evento, svolto in occasione del decennale dall'elezione di Papa Francesco - e specialmente in vista della Giornata Mondiale della Gioventù - all'interno dell'Università Gregoriana, ha coinvolto anche diversi studenti, che hanno potuto ascoltare le parole rilasciate dallo Special One. "Prima di tutto dico che dovevo stare di là, dalla parte degli studenti - l'inizio del discorso dell'allenatore -. Ho molto da imparare da voi e poco di interessante da dire. Mi scuso perché nei protocolli sono orribile e quindi saluto tutti (ride, ndr.). Vado subito a una cosa obiettiva. Sono uscito dall’università andando subito a fare il professore, ma un anno dopo sono andato a una scuola di bambini con la sindrome di down e non ero preparato. La mia formazione universitaria era educazione fisica, sport di alto rendimento. Sono andato alla scuola ufficiale perché avevo bisogno di lavorare e quando mi hanno mandato in quella scuola lì non avevo né esperienza né formazione. E sono arrivato con paura. Sentivo la responsabilità di essere un ragazzo di 23 anni, un po’ come adesso che non mi sento di avere le capacità giuste. Alla fine di quei due anni, quando sono andato via, bambini, colleghi e genitori erano molto tristi che andassi via perché ero un professore eccezionale. Perché? Perché ho appreso quella che è stata la mia salvezza, ovvero l’unica cosa che ho da dare, l’amore. Niente di più. E ho creato un rapporto con i bambini, che fortunatamente ancora oggi vedo quando vado in Portogallo. L’amore mi ha reso un professore eccezionale, facendo qualcosa di eccezionale per la loro crescita. Poi sono andato nella direzione di un nostro amico, che è stato un professore dell’università, di cui parlo tanto ma del quale non sono mai stanco di parlare. Ancora dopo 40 anni continuo a considerarlo il mio professore più importante, quello di filosofia. Non quello di metodologia, di allenamento o statistica, ma di filosofia. Lui mi disse ‘Tu non sei l'allenatore dei calciatori, ma sei allenatore dei ragazzi che giocano a calcio’. Queste due cose mi hanno aiutato molto nella mia strada. Chi di voi segue più il calcio dice che magari questo è teatro e non sono davvero così. Ma invece lo sono. L’empatia e l’amore sono alla base di tutto".

Nella scuola dello sport cosa si impara? Cosa ha visto che i ragazzi hanno imparato e come si sono trasformati?
"Il mio sport purtroppo è un mondo diverso dallo sport che noi vogliamo per i nostri bambini. Lo sport di alto rendimento è crudele. Non c’è spazio per i più deboli, l’obiettivo è molto molto chiaro per noi professionisti: è vincere. Per i proprietari e la gente che controlla l’aspetto economico gli obiettivi sono molto chiari. Lo sport è ciò di cui hanno bisogno i bambini, anche i genitori hanno bisogno di capirlo, perché tante volte sono proprio i genitori con le loro ambizioni e frustrazioni a portare i ragazzi verso l’aspetto della crudeltà. Nello sport di base, dove io sono cresciuto, con un collaboratore che ho ancora oggi dopo che l’ho avuto da calciatore a 12 anni, si impara tanto. Si impara più che nella propria casa, dove hai mamma e papà, hai uno spazio di evoluzione fantastico. Io do il 200% di garanzia che ci sono genitori che dicono ai ragazzi di non passare la palla a un compagno, perché altrimenti segna più gol di lui. Questa è la crudeltà. Ma il calcio di formazione ha empatia, solidarietà, la ricerca della gioia di vincere, sapere che quando perdi la sconfitta non è l’inizio di un periodo difficile, ma il finale di un momento difficile. Questo messaggio si trasmette molto bene nello sport, la disciplina e tante cose positive. Non è il solo sport che può dare questo, ci sono anche altre aree come l’arte. Ma lo sport dove non c’è la ricerca della performance è molto bello e mi ha aiutato molto nella mia formazione".

Che percezione ha dei problemi della gioventù contemporanea o delle sue speranze?
"Hanno difficoltà a rapportarsi a tante cose irreali che entrano nelle loro vite, sui loro computer o ipad. Sono cose fake che creano determinati tipi di aspettative. E sembra che poi loro falliscano, invece non è vero. Tante cose che per loro sono un fallimento si rivelano invece parte di un mondo ideale. E per me questo è un problema. Quando si dice che il mondo è dei giovani non sono d’accordo. Il mondo è nostro, è di tutti. Il giovane che pensa di non avere niente da imparare dai capelli bianchi degli altri è in difficoltà. Ma anche chi ha i capelli bianchi e pensa di non avere niente da imparare dai giovani è in difficoltà, sono un ostacolo all’affermazione nel mondo dei giovani. Io sono un uomo di 60 anni che è il leader di 30 ragazzi tra i 20 e i 30 anni, se non hai la capacità di imparare da loro, di avere l’umiltà di imparare da loro sei in grande difficoltà. Io sono in una fase della mia carriera dove questo ostacolo non esiste, ma l’ho avuto. Anni fa ho sentito questo ostacolo, non capivo bene le necessità, le cose che possono motivare di più o di meno, la capacità di lavorare su un determinato tipo di condizione. Questo per me è importante, la costruzione del loro futuro non può essere senza i capelli bianchi. E chi ha i capelli bianchi, per restare giovane fino all’ultimo, ha bisogno di loro e della loro conoscenza. Il mondo è nostro, né dei giovani, né dei più anziani. Io ci sono passato, nella fase in cui pensiamo di saperne di più dei genitori o dei nonni. Questa crescita nella società è una cosa molto importante per loro. La critica come critica non aiuta l’autostima, non aiuta la capacità di pensare di non avere paura del ‘fallimento’. E dico sempre tra virgolette perché non ho ancora capito bene cosa è il fallimento. Nel mio caso specifico, è perdere una partita? Non essere capace di sviluppare il potenziale che hai? Andando in altre aree il vero fallimento è avere le capacità innate e non riuscire a svilupparle, e arrivi poi in un momento in cui dici ‘potevo, ma non ci sono riuscito’. Questo è il vero fallimento. Chi ha il coraggio di fare, di sfidare, mettere dei limiti anche oltre le proprie potenzialità, questo non è fallimento".

Tutti noi proviamo la fragilità, vedendo la vita che cambia, ci si confronta con la morte, con l’esistenza, con i sogni. Non è raro che un giovane si senta solo in questo mondo. Come si può gestire questa fragilità?
"Devo lavorarci principalmente su me stesso. Se siamo capaci di gestirla da soli, senza necessità di condividerla col mondo. Siamo in un mondo in cui sembra un obbligo condividere con tutti le tue fragilità, le tue difficoltà. Ovviamente io, come persona e professionista, ho delle fragilità. Come persona cerco di gestirle, se devo condividerle lo faccio con i miei, nella mia intimità. Dal punto di vista professionale sono capace di gestirla da solo, ho questa capacità che mi aiuta. La gestione di questa fragilità con il tempo e la esperienza si fa più equilibrata. Ma anche senza questa fragilità, in questa mia maratona di 60 anni, ci sono momenti in cui non la percepisci, e sono momenti che fortunatamente con la maturità vanno via. Perché quando non senti fragilità sei in un mondo non reale, perché la più grande fragilità diventa il fatto che non sei in controllo della tua vita. Questa per me è la cosa più basilare. Questa maratona di 60 anni mi ha dato questa capacità di sentirmi bene nella gestione delle mie fragilità. Magari 'fragilità' è una parola pesante, si può dire 'dubbi' o 'punti interrogativi', camminare più lentamente, frenare, guardare indietro. Fa tutto parte di un percorso, per questa ragione dico che tra famiglia e amici, l’unica cosa che non mi piace dei miei 60 anni è che fisicamente non sono forte (ride, ndr.). Qualche volta mi sveglio con un dolorino qua e là, magari dopo un allenamento devo andare a riposare perché sono un po’ più stanco. Ma dal punto di vista personale non mi cambierei con il me stesso di 50, 40 o 30 anni".

Cosa la colpisce della testimonianza di Papa Francesco?
"Ho anche paura di dirlo. Perché non voglio dire nessuna eresia o qualcosa che vi faccia pensare pensare che ho una mancanza di rispetto. Però io utilizzo con Papa Francesco un'espressione molto calcistica, che è 'uno di noi'. Magari non capite cosa voglio dire, ma io lo vedo come uno di noi. Magari dico una cosa orribile, ma vado tante volte con i miei amici a fare una passeggiata di sera in piazza San Pietro e magari penso che lui si affacci dalla finestra e ci saluti. Non l’ho mai conosciuto di persona, ma se un giorno lo conoscerò gli darò un abbraccio. Non riesco a vederlo come Sua Santità, è ovvio che lo sia, con tutto quello che rappresenta. Però io lo sento così vicino e normale, che è uno di noi. Anche per come parla, lo fa in un modo in cui tutti lo capiscono perfettamente e il messaggio passa sempre. È uno di noi, è un uomo fantastico".

Un tifoso ringrazia Mourinho per quanto trasmesso ai tifosi della Roma.
"Quando tu mi hai ringraziato, ho pensato che quello che abbiamo fatto di più importante lo hai capito. Dal punto di vista sociale, la gente ha bisogno di un riferimento, che non sono io ma è il club, in questo caso il nostro club. Questa empatia, questo senso di appartenenza, di famiglia, questo senso di ‘vinciamo e siamo felici, perdiamo e siamo tristi ma siamo insieme’ è un po’ come nelle famiglie. Se c’è qualcosa da festeggiare siamo molto felici, se c’è qualcosa per cui piangere lo facciamo insieme. La vita è più importante del calcio, le nostre famiglie sono più importanti del calcio, ma la Roma in questi anni è riuscita a trasmettere questo per la gente, che ha risposto in modo fantastico. Il modo più facile per essere pragmatico e obiettivo è dire ‘vince tanto, è un grande club’. Nessuno che capisce di calcio non può non dire che il Real Madrid è il più grande della storia perché ha vinto tanto. Ci sono però club che non hanno mai vinto ma sono grandi dal punto di vista sociale e affettivo, in questo senso di appartenenza che può esserci anche in un piccolo villaggio di bambini. Magari è una squadra di paese che perde sempre, ma è pur sempre il mio. La Roma ha questa bellezza, siamo una città dove la comunicazione sociale locale divide o cerca di dividere. E per questo i romanisti sono ancora più speciali. Non dovete ringraziarmi ma io ringrazio voi per quello che mi avete dato in questo tempo".

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