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le parole

De Rossi: "Un giorno mi piacerebbe allenare la Roma. Non c'è fretta"

L'ex centrocampista giallorosso: "Il giorno dell'addio non ho finto neanche un secondo. Fonseca mi ha fatto una grande impressione dopo Roma-Shakhtar"

, di LaPresse

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La Redazione
11 Aprile 2020 - 12:21

Daniele De Rossi ha rilasciato un'intervista ai microfoni di Sky Sport. Ospite in collegamento video, l'ex centrocampista giallorosso ha risposto alle domande dei tifosi e dei giornalisti in studio. Ecco le sue parole.

Che percorso hai in mente ora?
"Ho fatto un percorso da calciatore non unico ma raro. Giocare 20 anni in una squadra non capita tutti i giorni. Sicuramente non posso pretendere, sognare o sperare di fare la stessa cosa se diventerò un bravo allenatore, un allenatore di Serie A. Non esistono allenatori che resistono così tanto, soprattutto a Roma. Però mi piacerebbe un giorno allenare la Roma, però prima devo imparare a fare l'allenatore. A parte il percorso tecnico credo ci sia un percorso di crescita di cui io ho e tutti i giovani allenatori hanno bisogno. Io mi sono ritrovato da un giorno all'altro da essere un giocatore vecchio, sono diventato un allenatore giovane. Inizio a vedere le cose con una rilassatezza che da calciatore non  ti puoi permettere perché sai che prima o poi l'orologio scandirà gli ultimi secondi della tua carriera, e invece adesso che ancora devo iniziare questa carriera prendo tutto con calma. Sicuramente sedermi su quella panchina un giorno mi piacerebbe però non è detto che io abbia questa fretta che voglia farlo accadere domani. Può succedere tra 5,10 o 20 anni. Penso e spero che un giorno succeda ma dovrà succedere perché sono diventato un bravo allenatore, perché da allenatore potrò portare qualcosa a questa squadra a cui tengo tanto, non perché sono stato un calciatore importantissimo con questa maglia".

Sei stato un grande protagonista per come parlavi dopo le partite. Ci mettevi la faccia. Sei già pronto ad essere responsabile di un gruppo?
"Io inizierò questo percorso non solamente perché mi piacerebbe, ma perché penso di poterlo fare. Lo pensano un po' tutti in Italia, ma io penso di si. Mi è sempre stato riconosciuto questo ruolo di leader, quindi sarò avvantaggiato su quel punto di vista, ma poi l'allenatore è mettere la squadra in campo, lo staff, le pressioni da solo contro tutti. Io cercavo di aiutare i miei compagni, facendo da collante, ma se l'allenatore perde è colpa tua e quando vinci sono bravi i giocatori. Gli allenatori sono sottoposti a questo e lo conosco bene".

Quali sono state le tue sensazioni nel giorno d'addio alla Roma?
"Credo si sia visto: l'ho vissuta con grande serenità. Non ho finto nemmeno un secondo. Mi sono emozionato per quei momenti, mi sono stati dei momenti di vuoto, durante la partita. Non avevo stimoli come le partite che contano. Nelle sostituzioni mi giravo intorno e vedevo quella che era stata casa mia per quasi 20 anni ed ho pensato che non avrei più visto quel posto da lì dentro, un po' di magone mi è venuto. Ero sereno, perché era un percorso e mi sono detto di arrivarci pronto perché prima o poi arriverà. Non conta quello che hai fatto, fa male a chiunque, c'è malinconia ed era importante fargli vedere alla famiglia che non era una tragedia. Volevo far vedere ai tifosi che me ne andavo col sorriso perché sono felice di quello che loro mi hanno fatto diventare".

Il discorso nello spogliatoio ti è venuto di getto?
"Non preparo mai niente. Inizio a pensarci un minuto prima di farlo. Lo dicevo sempre negli allenamenti, loro mi facevano un applauso anche per un passaggio di cinque metri. Bastardi (ride, ndr). Non è il derby del cuore, non voglio sempre la palla, voglio giocare alla mia maniera ed una partita vera. E' finita zero a zero, triste, ma è quello che volevo io".

Hai un rito scaramantico pre-partita?
"Ne ho avuti negli anni tanti. Li ho cambiati. Ma non servono a niente, partiamo da questo punto. Non funzionano e quando funzionano è perché funziona la squadra e te stesso. L'unico che non ho mai cambiato sono i tre saltelli che facevo prima di salutare l'altra squadra: tre saltelli e poi mi piegavo. L'ho iniziata anni fa come per sgranchirmi le gambe e non l'ho più cambiata. Non correre come me che non vinci niente (ride ndr.)".

Sull'addio alla Roma e al calcio.
"Non ho scelto io di lasciare la Roma e ho scelto io di lasciare il calcio. Sono stati momenti difficili: nel primo caso ha deciso qualcun altro e la seconda volta perché era la scelta giusta per la mia famiglia. Hanno tratto beneficio da questa cosa. Non ho parlato con dirigenti della Roma. Ho incontrato De Sanctis al Tre Fontane ed ho parlato con un dirigente per sapere come stavo. Non ho sentito nessuno e non mi ha chiesto nessuno nulla. Se mi conosci sai bene che non lo farò nemmeno io".

Sul rapporto con Riquelme.
"Appena l'ho visto gli ho spiegato le mie situazioni subito, era giusto. Lui mi ha chiesto di restare e che volevano mettermi a posto fisicamente. A parlarmi era un giocatore che era un esempio, un poeta del calcio. Mi ha fatto effetto, mi sono allenato 5 o 6 giorni con loro che mi chiedevano di rimanere. Ho dovuto dire che me ne sarei andato il giorno dopo sennò sarei rimasto per tanto tempo. Ho una nostalgia di quel posto molto forte, io e la mia famiglia la sentiamo".

Risponde al messaggio di Marchisio.
"Mi fa piacere vederlo, è di una sensibilità diversa dagli altri. Si prende responsabilità sul sociale, mette bocca dove tanti calciatori non entrano. Lui ha gli attributi e la pulizia intellettuale per farlo. Lo incontrai in un Roma-Empoli, c'erano lui e Giovinco e ci misero in grande difficoltà. Lui ha vinto tantissimo, era incredibile. Ha giocato anche davanti alla difesa ed era tagliato per quel ruolo, ma ha avuto due o tre infortuni. Marchisio era incredibile, di giocatori come lui si fatica a trovarne, ma ne stanno uscendo un po' in questi ultimi anni".

Quanto è stata importante Sarah?
"Sarah è stata fondamentale. Mi ha migliorato molto: il mio stile di vita, la mia serenità e quella della mia famiglia. E' stata fondamentale quando dovevo prendere una decisione fondamentale. Mi ha detto: "Scegli tu, io ti seguo". E' stata pronta ad accettare la mia decisione di andare in Argentina e si è innamorata di quel posto ancora prima di me. La ringrazio di non avermi messo il broncio per essere andato via anzi era dispiaciutissima anche lei, perché in pochi mesi aveva creato un'altra famiglia in Argentina. Quando dico che ho fatto fatica parlo di questo. L'altro giorno vedevo la Casa di Carta in spagnolo e un personaggio ha detto una cosa tipica argentina e ci siamo detti: "Mamma mia quanto ci manca".

Perché hai scelto il Boca?
"L'ho scelto da ragazzino guardando le tifoserie che mi piacevano e guardando Maradona che giocava, era un mio idolo. Mi sono appassionato a Maradona, la squadra e poi tutto ho capito la tifoseria. Tutti la conoscono, ma nessuno la conosce".

Che cosa hai trovato a Buenos Aires che non ti aspettavi? Che cosa condividerai con i tuoi prossimi giocatori da allenatore di questa esperienza?
"L'esperienza è stata meravigliosa, ma non solo dal punto di vista umano. Ho imparato tantissimo e mi sono reso conto di quanto talento, senza organizzazione, vada sprecato. Bisogna organizzarli per farli suonare insieme in campo, altrimenti diventa una sorta di confusione, bella da vedere, ma sempre confusione. Far coesistere queste meraviglie, questi mancini che cantano, questi giocatori ruvidi ma tecnici, sarebbe il primo passo di qualunque squadra. Un allenatore c'è riuscito, Gallardo c'è riuscito, ha giocatori fortissimi e ne aggiunge un altro ogni volta che ne perde uno. Speriamo che l'ultima giornata dell'ultimo campionato sia stata destabilizzante per loro. Se l'Argentina ci riuscisse come nazionale, cambierebbero le sorti del calcio mondiale. Hanno talento esattamente come il Brasile"".

Quanto è stata importante la figura di Lippi in Germania?
"Ovviamente l'hanno detto un po' tutti, non posso non ricordare quanto Lippi fu importante. Una nazionale con grandissimo talento, con giocatori mostruosi, ma non era la nazionale più forte: il Brasile era più forte. Vincemmo perché fummo grandi lottatori, ma perché lui dal primo giorno, creò una squadra di club, che in nazionale non è mai facile. Ti vedi una volta ogni 30 giorni, ognuno ha i suoi malumori. Lui creò un gruppo di amici in due anni, poi l'ha gestita bene anche a livello tecnico-tattico, ma ha creato un qualcosa di diverso. Quella nazionale partiva con grande pressione, grande importanza per quel trionfo e per me, se non ci fossero stati 60 minuti e i rigori in finale l'avrei assaporato con un sapore agrodolce. Ho sempre sentito la sua fiducia, anche quando era incazzatissimo, anche quando ero squalificato. Ho sempre sentito che qualora ci fosse stata l'opportunità di rientrare l'avrei potuto fare. Peruzzi mi disse che mi voleva ributtare dentro in finale. Partivo come un panchinaro che doveva fare il suo di lì a poco, così fu e rimane il ricordo più memorabile della mia carriera calcistica".

Un altro allenatore importante è Heinze. Lavorando sul fatto che andrai a documentarti, quali sono i primi 2-3 appuntamenti che pensi di avere in agenda? La partita con l'Atletico Tucuman l'abbiamo messa in preventivo, campiamo di rendita dal 9 dicembre 2018...
"Gabi Heinze è un allenatore interessantissimo, andando in Argentina e avendo opportunità di vedere partite a ripetizione ho potuto vederlo. Aveva giocatori interessanti al Velez, lui è andato via, parlando con un DS italiano si sa anche in Europa quanto sia bravo. Sarei contento se si riaprissero per lui le porte del calcio europeo. Crespo mi ha impressionato al Banfield, una squadra medio piccola che ci ha messo in grossa difficoltà. Penso che avrò bisogno di sentire tutti, mille allenatori, di scrutarli, posso imparare da tutti. C'è un proverbio africano che dice che un bambino in piedi non riesce a vedere dove vede un vecchio seduto. E io sono un bambino. Chi si affaccia a questa professione, se può partire dal migliore di tutti e non lo fa sbaglia. E il migliore è Guardiola: se avrò opportunità partirò da lui. Poi ci sono allenatori bravi in Italia, Gattuso, De Zerbi che mi fa impazzire. Tanti, dai quali devo imparare molto. Saranno viaggi professionali e di divertimento perché amo questo mondo. Andrò a vedere allenatori di altri sport, voglio contattare Pozzecco per il rapporto che hai coi giocatori. Le dinamiche penso che siano simili. Avrò un bel giro da fare. Se non imparerò niente perché sono un asino, almeno mi sarò divertito. La terza: chi è del Boca è sempre la festa dopo la partita con il Gimnasia, uno scudetto che quel popolo meritava. Ma anche quella dopo la semifinale persa: in piedi, occhi lucidi e saluti, nessuno che insultava i giocatori. Non mi voglio attribuire il titolo di argentino, ma un amore così è solo da applaudire".

Ci racconti del trucco e parrucco per mimetizzarti in Sud nel derby?
"È nata come una battuta, uno scherzo. Avevo questa grande voglia di andare in curva, ma senza essere preso in braccio tipo Oronzo Canà, volevo passare in osservato. Inizialmente volevo andare a Firenze, ma la Roma arrivava da una serie di vittorie di fila e scaramanticamente non andai. Fu l'unica maniera per poter passare inosservato. Ho deciso di andare così e mi sono divertito ed era l'unico modo per passare inosservato. Un ragazzo dietro di me mi ha riconosciuto dopo un secondo e lo ringrazio per avermi permesso di godermi lo spettacolo".

Qualche tempo fa mi hai detto che il giorno più difficile sarebbe stato l'ultimo a Trigoria. È stato davvero così?
"Voglio chiarire una cosa. È stato il giorno più difficile della mia ultima esperienza. Non significa che abbia smesso a Roma, non è stato lasciare la Roma, ma chiudere quella porta per l'ultima volta. È stato difficile, io lì dentro non ci rientrerò più, perché è la camera dove ho dormito di più in vita mia, è un posto che non rivedrò mai più. È stata una bella botta, un momento nel quale mi hanno tremato più le mani".

Qual è la difficoltà principale che ti aspetti per cominciare la carriera da allenatore? Ho sentito nomi di allenatori che pensi di andare a vedere, tutti abbastanza innovativi. Come giudichi il livello del nostro calcio rispetto alle nuove proposte dal punto di vista tecnico-tattico?
"Difficoltà ne incontrerò, mi aiuto da solo pensando così. Non so se so fare alcune cose: dovrò organizzare un precampionato, formare uno staff, parlare alla gente da un'altra prospettiva. Tutti ti devono seguire, magari inizierò da un livello più basso di quello che ho vissuto da calciatore e dovrò accettarlo. Difficoltà che spero di superare. Riguardo gli allenatori, ho citato allenatori innovativi, ma devo imparare tanto dagli altri, più pragmatici. Il livello del calcio in Italia si sta direzionando verso lo spettacolo: la sensazione è che anche le piccole squadre abbiano iniziato a proporre qualcosa di interessante. Il Barcellona di Guardiola ha cambiato la percezione del calcio, il pericolo è abusarne, abusare del palleggio e di idee propositive quando la squadra non è all'altezza. Posso citare altri allenatori, come Fonseca che è uno dei più grandi da questo punto di vista. Mi complimentai con lui dopo Roma-Shakhtar, mi aveva fatto una grande impressione".

Da chi rubi qualcosa degli allenatori che hai avuto a Roma?
"Non voglio dare risposte paracule, ma devo rubare da tutti, anche da chi mi è piaciuto di meno. Si ruba anche cercando di non ripetere errori gravi. Se penso a chi mi ha segnato penso a Spalletti, insieme a Luis Enrique. Come gestione del gruppo sono un tranquillone, ma un pizzico di atteggiamento alla Capello non guasta mai".

Quale soprannome ti è pesato di più? Capitan Futuro o Nino?
"Questo non è di Roma, è di Ostia! Da piccolo avevo questa scodella bionda, a Roma non c'è nessuno che non abbia un soprannome, ero Nino riferito a Nino D'Angelo, finché non sono diventato Capitan Futuro e mi ci sono abituato".

Hai avuto modo di pensare ai tuoi progetti tecnici? Puoi raccontare il primo giorno al campo di allenamento del Boca?
"I progetti sono tutti in stand-by. Pensare a queste cose in questo momento non mi sembrerebbe giusto. Ho grande voglia di fare questo lavoro, ho fretta, smanio, ma mi sento circondato da un alone di tristezza, di difficoltà, di tutto il mondo. Andare a pensare al corso, alle squadre mi sembra un po' ridicolo. Il primo giorno, non ricordo se fosse il primo o il secondo, facemmo questa partitella. Ero abituato ai Primavera della Roma, in Italia, che tendono a levare un po' il piede contro uno della prima squadra. Ci fu questo contrasto con questo torello di 170 cm per 100 kg e mi ha ribaltato, un animale. Si è subito fermato, pensando di fare qualcosa di male, gli dissi di continuare così. Da lì ho iniziato anche io con le scivolate. Da loro era inverno, campo fangoso, il paradiso".

(Da Bonucci) Ricordi quando ti ho tirato la scarpetta? Raccontalo!
"Questa è lunga. Parliamo di un ragazzo del quale tutti i miei conoscenti mi dicono che è odioso. C'è una percezione di Leo che è totalmente sbagliata. Un professionista incredibile, padre e amico perfetto, mi spiace che si pensi che sia antipatico. A volte lo è in campo, ma è frutto della maglia che indossa, quella squadra ti dà quell'impostazione là ed è forse un motivo per cui vincono sempre. In allenamento lui mi tirò uno scarpino, che slittò e mi prese col tacchetto. La cosa era diventata un po' meno scherzo, poi dopo un minuto passò tutto. È uno dei ragazzi che ricordo con più piacere, quel tavolo era una bolgia. Grandi momenti insieme".

Hai un rammarico in carriera?
"Senza entrare nel dettaglio: non aver vinto qualcosa di importante, di strappalacrime, con la Roma. Ieri vedevo uno speciale su Di Bartolomei perché sarebbe stato il suo compleanno, o lo scudetto di Francesco. È un rammarico grande. A volte vengo tacciato di aver avuto poche ambizioni perché sono rimasto sempre a Roma, ma ho avuto l'ambizione di provare a vincere dove non si vince mai, in una squadra meno forte delle sue avversarie. Mi sento in pace con la mia coscienza, ma il rammarico c'è. Le cose non vanno sempre come uno spera. Se guardo la mia carriera sono fortunato, se guardo la bacheca è abbastanza vuota e mi dispiace di non aver avuto questa gioia incredibile con la maglia della Roma".

Il calcio inglese? Ci hai fatto qualche pensiero? In che squadra ti saresti visto? Con Roy Keane o con Paul Scholes? O con il Liverpool di Gerrard? O con Mourinho, insieme a Lampard?
"Risposta secca: da quando sono piccolo ho sempre amato molto il Manchester United. Proprio perché mi ha citato loro è giusto che non ci sia andato. Riguardo al Boca, era proprio un mio desiderio. A posteriori era fare un paio di stagioni delle mie, con 50-60 partite in quello stadio, con quella maglia".

Che cosa ci lascerà un momento come questo, come ripartiremo?
"Usciremo e porteremo via da questo momentaccio cose positive se ora remeremo dalla stessa parte, nello sport come nella vita. Penso che porteremo via da questo momentaccio delle cose positive se in questo momento remeremo nella stessa parte. È adesso che dobbiamo sentirci sulla stessa barca, perché non l'abbiamo vissuta tutti nello stesso modo, anche tra nord e sud c'è una differenza gigante. Penso che questo popolo possa risollevarsi, una delle cose più intelligenti la disse Balotelli, prima di politici e dottori: ha detto di avere una madre di una certa età e che non le vuole attaccare nessuna malattia, quindi di voler stare a casa. È facendo le cose normali che ne usciremo, poi ci sono scienziati e politici che si devono occupare di cose più importanti. Siamo una popolazione che ha sempre dimostrato di avere la pelle dura".

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