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l'intervista

Il direttore di Rai Radio: "La Roma è amore"

Roberto Sergio: "Diventai tifoso giallorosso vedendo da ragazzino un derby dalla Nord. Avevo 9 anni, mi innamorai della Sud: da quel momento divenne il mio mondo"

Roberto Sergio in versione papà, direttore ma sempre romanista

Roberto Sergio in versione papà, direttore ma sempre romanista

La Redazione
10 Luglio 2020 - 16:58

Si è innamorato della Roma in Nord, non ama (eufemismo) questa proprietà ma l'amore per la Roma è più forte di qualsiasi considerazione e critica. Lui si chiama Roberto Sergio, potrebbe essere il nome di un esterno del Barcellona, invece è quello del direttore di Rai Radio. Un romanista. Si parte da qua.

La Roma è...?
«Amore».

L'idolo.
«Nel corso degli anni ci sono stati diversi calciatori che hanno rubato il mio cuore. Ma credo che Francesco Totti sia stato sicuramente il numero uno. Per tutto quello che ha dato in campo e fuori».

La prima volta allo stadio.
«Era il 1969, avevo 9 anni, volevo a tutti i costi andare all'Olimpico, ma non ero ancora tifoso di nessuna squadra. Mi piaceva il calcio ed ero affascinato da quello stadio in cui non ero mai entrato. Mio padre, medico e per nulla interessato al calcio, alla fine si convinse e mi ci mandò, mi fece accompagnare da un suo amico laziale. Andai così in curva Nord a vedere il derby. In quella giornata in Nord divenni romanista. Non tanto perché la Roma vinse 2-1 in uno stadio stracolmo, ma perché vidi la differenza fra i colori della Lazio e quelli della Roma, il calore della tifoseria giallorossa, il fascino di quel mondo che da quel momento divenne il mio mondo».

Il momento in cui ha capito che la Roma è… la Roma.
«Proprio quel giorno del 1969. Poi ho avuto solo conferme nel corso degli anni, fino a dieci anni fa, quando a causa della proprietà americana la Roma ha iniziato a non essere più la mia, la nostra Roma. E comunque non posso fare a meno di questo amore che sento tradito».

La Curva Sud.
«Sempre presente, abbonato in Curva Sud dai 18 ai 48 anni. Trenta anni di Curva senza mai essermi aggregato a un club, ma con un gruppo di alcuni amici con cui ho condiviso la passione di andare allo stadio a ogni partita della Roma. Allo stadio, sotto la neve e le piogge torrenziali con febbroni, eppure mai persa una partita. Poi Tevere Numerata e fino ad oggi Tribuna Monte Mario».

Il ricordo di stadio più forte.
«La festa dello scudetto del 15 maggio 1983, nel vecchio affascinante stadio Olimpico, Roma-Torino 3-1 con Nils Liedholm allenatore e in campo i grandi Di Bartolomei, Pruzzo, Falcao e Bruno Conti. Tutti uomini di spessore, appassionati di quello che facevano e probabilmente unici. È stato il mio primo scudetto e non potrò mai dimenticare le emozioni di quel giorno».

La partita della vita.
«L'ultima partita dello scudetto 2001. Alla presidenza l'amato Franco Sensi. Anche in questo caso, nomi di peso in campo: Totti, Batistuta, Montella. Ero più grande e ho vissuto le stesse emozioni del primo scudetto ma con più consapevolezza e maturità».

Il dolore calcistico più grande.
«Senza dubbio la finale di Coppa dei Campioni, Roma-Liverpool del 30 maggio 1984 allo Stadio Olimpico. In quella partita dovevamo vincere, era la nostra partita. Lo stadio era infuocato con oltre 70.000 spettatori. Perdemmo solo ai rigori e solo perché fu mal giudicato un fallo, poi ci mettemmo tutto il cuore e la forza che avevamo. Mi ricordo ancora il dopopartita al Circo Massimo ad ascoltare Antonello Venditti, in lacrime».

Cosa è più cambiato dal modo di vivere la Roma rispetto alla tua adolescenza.
«Tutto, sono un "no Pallotta". Oggi io sono ancora follemente innamorato della Roma, ma non sopporto più il modo in cui la società viene condotta dai vertici attuali. Mi auguro che si possa tornare presto a quell'intensità che si è persa, a quella genuinità che non riconosco più nella Roma attuale».

Cosa è rimasto uguale?
«I colori e l'amore per la squadra AS Roma 1927. In altre parole, la fiamma che mi fece innamorare nel 1969 e che ancora è viva in me, come credo in molti altri tifosi, nonostante la gestione attuale».

La Roma alla radio: il ricordo.
«La mia radio portatile Telefunken Kella2 arancione con cui andavo in Curva a vedere la Roma, ascoltando "Tutto il calcio minuto per minuto". Quella radio fece una brutta fine. Fu "dispersa" all'interno dello stadio... durante una partita che ancora ricordo come uno dei torti più grandi fatti alla Roma. Era Roma-Inter del 1972, passata alla storia per il rigore assegnato all'Inter al 90' da Michelotti, con relativa invasione di campo».

La radio e il calcio: un binomio che ha funzionato sempre.
«Ha funzionato in passato quando la radio era l'unico modo per seguire le partite, ma la cosa che lascia sorpresi è che funziona benissimo anche oggi, nonostante le molteplici modalità che abbiamo per seguire il calcio. Per due motivi: il primo è che resiste ancora l'ascolto delle radiocronache quando siamo al volante e non possiamo quindi guardare. Il secondo è che il racconto delle partite mantiene un fascino di emozioni che passa attraverso le generazioni. Poi c'è tutto il mondo dei commenti sul calcio che credo costituirà sempre materiale di forte appeal per le radio. Anche qui, con grande utilizzo in auto».

I 60 anni di "Tutto il calcio minuto per minuto".
«Qui gioco in casa. È il programma simbolo del calcio alla radio. Quando abbiamo festeggiato l'anniversario in Rai Radio c'è stato un grandissimo seguito. Credo che la professionalità dei conduttori sia la vera arma vincente di un programma che ha sfidato i decenni».

Il suo momento radiofonico legato alla Roma.
«Tutte le radiocronache di Carlo Zampa. Una voce capace di far vivere la partita a distanza, e soprattutto di far emozionare come se ci si trovasse allo stadio».

C'è nel mondo Roma un personaggio perfetto per la radio?
«Qualcuno ce l'abbiamo già in Radio 2: Luca Barbarossa che è al timone di Radio2 Social Club ormai da anni e dalla scorsa stagione anche con successo nella versione tv in onda su Rai 2. E poi Max Giusti, altro grande conduttore nonché tifoso. Nel mondo dei tifosi della Roma ci sono innumerevoli grandissimi artisti che sarebbe un sogno avere ai nostri microfoni: Carlo Verdone, Alessandro Gassman, Gigi Proietti, Claudia Gerini, Pierfrancesco Favino... Ecco, per loro le nostre porte sono sempre aperte».

Una voce di Roma e della Roma.
«Luca Ward, la voce del film "Il gladiatore", che per anni si è abbinata alle imprese della Roma. Credo che per moltissimi tifosi, sentire Ward abbia oggi un fascino del tutto particolare, proprio perché abbiniamo la sua voce ai colori giallorossi».

Come è cambiato il racconto del calcio nei media.
«È diventato molto più serrato, frenetico, adeguato alla società in cui ci troviamo. Ma nella sostanza non è cambiato. Continua a far leva sulle emozioni, sul pathos, sul cuore».

Il peso specifico e la peculiarità della radio in questa età della comunicazione.
«La radio è oggi il mezzo più moderno fra quelli non nativi digitali. Si è saputa adattare e talvolta reinventare senza mai perdere il proprio dna di mezzo di comunicazione vicino, familiare, basato sullo storytelling e sulla leggerezza. Anche oggi che è pronta a nuove sfide, come quella della visual radio, rimane fedele a sé stessa, pur proiettandosi su piattaforme e device nuovi, come i social, gli aggregatori, gli smart speaker».

Se la Roma fosse un programma radiofonico?
«Un approfondimento quotidiano. E di fatto lo è, essendo presente ogni giorno con notizie e commenti sulle radio italiane, generaliste o di settore».

Il programma che gli sarebbe piaciuto fare.
«Il mio sogno resta quella di riportare in radio un amico che ha inventato la radio moderna: Renzo Arbore. Magari con un altro amico che di recente è tornato nei nostri studi, Fiorello che proprio dalla sede di via Asiago ha realizzato il suo "Viva Rai Play", peccato sia interista…».

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