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Corvia: "De Rossi è rimasto sempre umile, anche quando lo ha chiamato Capello"

Parla chi lo ha visto crescere: "Penso che Daniele possa dare ancora tanto a livello di campo e di spogliatoio. Con lui in campo la squadra è andata sempre molto meglio"

De Rossi, Cassano e Corvia nella stagione 2004/05, di Mancini

De Rossi, Cassano e Corvia nella stagione 2004/05, di Mancini

16 Maggio 2019 - 16:56

DDR c'è chi lo ha visto crescere, chi invece c'è cresciuto insieme. Daniele Corvia, da Largo Preneste, di anni ne ha 34 (35 a novembre), uno in meno del numero 16, ha iniziato a giocare al Savio, è sempre stato un tifoso romanista, ha varcato i cancelli di Trigoria per la prima volta a 11 anni, proprio come De Rossi. «Nei miei primi anni di Roma non giocavamo insieme, lui era sempre una categoria al di sopra della mia, lo vedevo dall'esterno: era già molto bravo, ma a quei tempi non veniva considerato il più forte. I nomi che si facevano ipotizzando un futuro glorioso erano altri, poi Daniele ha avuto una crescita esponenziale». Il ricordo dell'adolescenza condivisa con DDR, Corvia lo inizia proprio da qui. «L'anno in cui abbiamo giocato insieme è coinciso con la sua esplosione. Stiamo parlando della stagione 2001-2002, di una squadra Primavera mista con '83 e '84, molto forte: c'erano anche Pepe, Aquilani, Bovo, Amelia, Ferronetti, con allenatore Ugolotti. De Rossi era già lanciato, Capello lo chiamò stabilmente in prima squadra, all'inizio scendeva spesso da noi, poi sempre meno, ci diede una mano al torneo di Viareggio. Rimasi colpito da come cresceva giorno dopo giorno, non solo tatticamente, ma in personalità».

Com'era De Rossi ragazzo?
«Era un giovane perbene, sempre positivo, col sorriso, scherzava con tutti, non era strafottente. Lo ricordo molto generoso, disponibile, umile. Le caratteristiche caratteriali che gli vengono riconosciute anche oggi, insomma. Una volta, dovendo rispondere alla convocazione dell'Under 21, ricordo un viaggio in auto insieme a lui: non smettevamo di ridere. Il fatto di essere stabilmente in prima squadra non lo aveva cambiato, lui era sempre uguale. E in campo, con noi, faceva la differenza: a Viareggio fece una partita stratosferica contro il Bayern Monaco di Schweinsteiger, segnò Pepe. Eravamo uno squadrone».

Poi lo hai ritrovato in prima squadra...
«Sì. E come giocava... Da veterano. Sembrava già un calciatore navigato, si muoveva come uno che stava lì da tempo. Tecnicamente era migliorato tanto, tatticamente aveva un passo in più. Con tanta personalità, sempre più spiccata. Lì capii che sarebbe diventato un campione. E così è stato. Nella stagione 2003-2004, l'ultima di Capello, mi aiutò ad inserirmi. Era sempre a disposizione. Il campionato successivo, quello difficile con i quattro allenatori, era un titolare fisso e anche lui ormai aveva preso consapevolezza di avere grandi mezzi».

Ti aspettavi un tale epilogo?
«Come potevo aspettarmelo, penso che Daniele possa dare ancora tanto a livello di campo e di spogliatoio. Le partite della Roma le ho viste tutte, con lui in campo la squadra è andata sempre molto meglio. Non mi spiego una decisione del genere».

Dove andrà a giocare secondo te?
«Non in Italia. Penso all'estero. Sento parlare della possibilità che possa restare in serie A, ma dubito che possa farcela a giocare contro la Roma. Avrà richieste dall'estero e alla fine accetterà quella migliore per lui, non solo dal punto di vista economico. Farà una scelta pensando alla sua famiglia. Può ancora giocare a grandi livelli».

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