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La partita

Più brutta di così è difficile

Al 45’ esce Dybala e la Lazio segna su rigore. Solo nel finale la tardiva reazione: siamo fuori ai quarti

I minuti finali di Lazio-Roma

I minuti finali di Lazio-Roma (GETTY IMAGES)

11 Gennaio 2024 - 07:00

Finisce nel peggiore dei modi, con Azmoun e Mancini espulsi prima e dopo il fischio finale, con la grande occasione capitata pochi secondi prima sulla rovesciata di Lukaku che avrebbe mandato la partita ai supplementari in superiorità numerica (l’ex giocatore Pedro era stato espulso al 96’ per palese isteria e ha rischiato con il suo gesto di regalare la qualificazione alla Roma se Romelu avesse inquadrato la porta e non tirato alto). Ma poi Orsato ha chiuso il lunghissimo recupero ed è stato consegnato agli archivi l’1-0 per la Lazio che manda i biancocelesti alla semifinale di Coppa Italia ad aprile con la Juventus e la Roma a meditare sulle proprie fragilità, rimesse ancora una volta a nudo. Stavolta però non stanno in piedi le giustificazioni per il nuovo seminfortunio muscolare che ha messo fuori Dybala dopo un tempo, anche perché l’evento non era poi così difficile da prevedere soprattutto per un tecnico smaliziato come Mourinho: e allora forse tenere in panchina l’argentino e farlo entrare all’inizio del secondo tempo per averlo in campo quando maggiormente sarebbe contato siamo convinti sarebbe stata una soluzione migliore di quella scelta. E al di là di tutto,  non ci si può sempre appellare alla sua assenza: visto che gli capita spesso di guardare i compagni da fuori, bisognerebbe trovare con gli altri il modo di tirare fuori qualcosa di più da certe partite, un po’ come fa la Lazio senza avere giocatori così forti, semplicemente credendo di più nella forza di uno sviluppo lineare del gioco, questione che invece la Roma fatica a trovare. Ed è un peccato, dopo i recenti progressi che avevano fatto sperare in un futuro migliore. La botta presa ieri sera sarà invece dura da digerire.

Partite come queste si sviluppano con fatica perché a prevalere, in una fase di reciproco studio a volte lunghissimo (in questo caso è durato tutto il primo tempo), sono chiaramente gli schieramenti in fase di non possesso. Concetti difensivi diversi, ma stesso risultato: dopo i primi 45 minuti l’unico tiro in porta della sfida è stato un destro telefonato su punizione di Cataldi da 35 metri. La Lazio ha difeso con il solito sistema 4-5-1 che diventa 4-3-3 in fase di possesso palla, con una linea che sull’impostazione romanista diventa a 5 come se fosse una testuggine, con gli attaccanti esterni che diventano le punte estreme più basse (a sinistra Zaccagni, recuperato all’ultimo momento, a destra Felipe Anderson), con due punti intermedi con i mediani Vecino e Guendozi, pronti a salire spavaldi sui centrali, e Castellanos unico riferimento centrale, punta estrema; alle spalle di questa sorta di linea a forma di lancia Cataldi e, a seconda della zona d’impostazione, l’intermedio di zona opposta erano bravi a chiudere rapidamente ogni linea di passaggio sui centrocampisti romanisti, così l’unica soluzione tentata era il lancio lungo su Lukaku, ben tenuto da Romagnoli in prima battuta e Patric in seconda, così raramente si è visto lo scarico brillante per Dybala, schierato sin dal primo minuto a dispetto di una sfida dalla potenziale lunghezza di 120 minuti. Mou aveva scelto ancora la difesa del secondo tempo con l’Atalanta, ma invertendo la posizione di Kristensen e del bimbo Huijsen (perfetto fino all’episodio decisivo), preferendo il danese su Zaccagni e l’olandese su Felipe Anderson, e in mezzo ancora Mancini nella solita versione regale. La fatica maggiore la facevano proprio i due registi, chiamati a turno a cercare la chiave migliore per uscire dalla ragnatela biancoceleste; peccato che né Paredes né Cristante siano sembrati particolarmente ispirati, soprattutto nella velocità di proposizione per lo scarico da uno degli esterni pressati per l’immediata ricerca magari della verticalità. Sempre il solito problema: sono entrambi due buoni giocatori, ma quando sono schierati insieme si perde un po’ di qualità offensiva (Pellegrini, entrato ad inizio secondo tempo) o un po’ di dinamismo (che garantisce in parte Bove). Proprio Edoardo ha provato a scardinare qualche meccanismo laziale nella prima impostazione, ma ha sprecato le maggiori energie proprio ad abbaiare contro i dirimpettai, meno incisivo è sembrato per cucire il gioco tra centrocampo e attacco. Poche le annotazioni sul taccuino del cronista nei primi 45 minuti: un destro di Paredes respinto su una torre di Zalewski (ispirato da Dybala), un destro di Castellanos deviato da Mancini in corner (su errore banale in impostazione di Kristensen), la già citata punizione di Castaldi e un sinistro di Dybala deviarto in corner.

Proprio l’argentino ha dovuto lasciare il campo all’intervallo a Pellegrini preferito nel cambio a Belotti, Azmoun ed El Shaarawy, tre attaccanti che sarebbero entrati comunque più tardi. Subito sono arrivati i guai per la Roma: prima è stato Mancini a regalare un fallo laterale alla Lazio per non servire Rui Patricio (nel derby Mou ha scelto lui e non Svilar), poi sul prosieguo dell’azione il fallo lo ha avuto la Roma, ma Cristante ha servito male Zalewski che si è fatto anticipare da Felipe Anderson che poi è arrivato sul fondo aggirando Kristensen e ha crossato per Vecino che anticipando Castellanos ha deviato di testa in porta chiamando Rui alla deviazione volante, con Karsdorp a mandare in corner. Sul rimpallo successivo, in una palla a mezz’aria sono andati contemporaneamente il centravanti laziale e il giovanissimo Huijsen che però ha colpito l’avversario che aveva anticipato il tocco sul pallone. Orsato ha fatto segno di continuare e i romanisti se la sono presi con l’argentino per la simulazione, ma Irrati al Var ha notato il dettaglio nella Super Slow Motion, ha richiamato alla visione il collega che non ha potuto far altro che assegnare il rigore, trasformato da Zaccagni. Lì la Roma è andata in difficoltà, per l’improvvisa consapevolezza della strada in salita perdipiù senza Dybala, e in pochi minuti la Lazio uscendo dalle pressioni ha confezionato altre palle gol, una salvata da Rui Patricio su Vecino, l’altra con lo stesso uruguaiano al tiro fuori di poco. Fa pensare il fatto che dai pochissimi cross dei laziali sono arrivate le uniche occasioni da rete biancocelesti mentre quasi tutti i cross degli esterni della Roma sono stati preda dei difensori avversari: e Mou a un certo punto li ha tolti entrambi, inserendo Spinazzola e Azmoun, mandando in fascia Bove.

Poi sono arrivati gli altri cambi che hanno radicalizzato l’inerzia, con la Roma ad attaccare e la Lazio a cercare la ripartenza letale. Dentro Rovella, Luca Pellegrini, Pedro e Isaksen al posto di Cataldi, Lazzari, Zaccagni e Castellanos, altre due punte della Roma (El Shaarawy e Belotti) per un finale con un 424 con Cristante centrale con Mancini e i terzini proiettati (inutilmente) in avanti.  Al 37’ Pedro ha avuto la palla del 2-0, ma l’ha sprecata, poi è stato espulso Nuno Santos per non abbassare la media dei provvedimenti contro la panchina giallorossa, e al 42’ è arrivata la migliore occasione per la Roma, con un cross di Spinazzola per Azmoun che ha addomesticato il pallone per far tirare Belotti, addosso a Mandas, aiutato poi dalla sorte nel rimbalzo, su cui è arrivato con una frazione di secondo di anticipo su Pellegrini. Poi c’è stato l’inutile show di Pedro, capace di prendersi due cartellini gialli in un minuto per smodate reazioni nervose, e la sua uscita a passo lentissimo ha allungato di ulteriori due minuti il già lungo recupero concesso da Orsato. Peccato per l’occasione poi svanita sulla sforbiciata di Lukaku, pregevole gesto tecnico (stop di petto e girata) non uscito perfetto perché ha colpito la palla con una frazione di secondo in anticipo: se l’avesse fatta scendere un altro centimetro l’avrebbe colpita piena e non ci sarebbe stato scampo per Mandasm, il portiere greco preferito a Sepe per sostituire Provedel, e per la stupidaggine di Pedro. E invece è stata la Lazio a festeggiare il quarto derby chiuso senza prendere gol, tre vittorie di misure e un pareggio. Inaccettabile.

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