AS Roma

Mourinho: "Alla Roma sono felice, lottiamo e ci divertiamo"

Al 'The Obi One Podcast' ha parlato l’allenatore giallorosso: "Oggi non potrei comportarmi come mi comportavo prima. I tifosi romanisti sono fantastici"

Mourinho in campo contro la Fiorentina

Mourinho in campo contro la Fiorentina (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA La Redazione
18 Dicembre 2023 - 10:37
L'allenatore giallorosso José Mourinho ha parlato al "The Obi One Podcast", diretto dal suo ex giocatore Obi Mikel. Di seguito le sue parole.
 
Come sta la tua famiglia?
"È a Londra, crescono anche loro. Mia figlia in estate si sposa. Stanno invecchiando…".
 
José, dobbiamo ringraziarti. Non hai mai fatto podcast, perché hai accettato?
"Perché Obi è il primo tra i miei ragazzi a chiedermelo. Sai, soprattutto in questo periodo a Roma, ho i miei ragazzi che hanno 18 anni e stanno giocando le prime partite, ma altrove ho i miei ragazzi che hanno anche 40 anni e saranno sempre e comunque i miei ragazzi. E se uno dei miei ragazzi mi chiede, io ci sono".
 
E tu sarai sempre il mio Boss, ricordo ancora quando sono arrivato al Chelsea e mi hai mostrato la sede. Sei stato tu a portarmi lì. Che caratteristiche aveva da numero 4 piuttosto che non da numero 10? Perché in Nazionale giocava da 10.
"Mi piaceva tutto di lui. Nella mia carriera ho avuto tanti centrocampisti di posizione, come li chiamo io, e tranne Makelele che era più basso, erano tutti alti, forti fisicamente. A volte si confondono i giocatori creativi con quelli semplici, ma in certe zone del campo la vera genialità è proprio la semplicità, bisogna dare equilibrio alla squadra tra fase di possesso e di non possesso, bisogna essere disciplinati ad avere l’umiltà di pensare che la squadra venga prima del singolo, e per questo magari Obi andava in Nazionale e voleva essere il numero 10 per essere il giocatore più importante ma con me era un ottimo centrocampista di posizione, veloce di pensiero. Magari non era il ragazzo che vince una gara di velocità sui 100 metri, ma era veloce di pensiero, con lui il gioco scorreva. Lo vidi da subito negli allenamenti, perché un giorno al Chelsea chiesi un ragazzo che venisse dal vivaio per l’allenamento e mi parlarono di questo ragazzo nigeriano cresciuto in Norvegia. Chiedi se a 17 anni era forte abbastanza fisicamente e mi dissero di sì, perciò dissi loro 'fatelo venire'. Mi aspettavo di trovare un giocatore normale, vidi subito che non lo era, e ovviamente lo vide anche Sir Alex Ferguson, perciò ci fu una lotta che non fu normale neanche quella, ma alla fine andò tutto per il meglio per il Chelsea e per lui, perché è rimasto 11 anni al Chelsea, ha vinto tutto, ha guadagnato e ha potuto giocare da numero 10 della Nigeria".
 
Obi era uno dei giocatori del tuo primo Chelsea, la squadra con cui sei arrivato in Inghilterra e hai detto al mondo: 'Sono lo Special One'. Che squadra quel Chelsea. Che cosa lo rese così speciale?
"Un insieme di cose. Prima di tutto i soldi di Abramovic. Quando parliamo di grandi club, parliamo anche di soldi. Quello che il Manchester City è adesso, quello che il Liverpool è adesso, il Chelsea lo è ancora ma noi eravamo meglio. Avevamo tutto, una buona squadra e un buon allenatore. Potevamo scegliere su quali giocatori puntare, in base alle caratteristiche, alla personalità, al rapporto con il mister. Ovviamente con John la situazione in quel caso mi sfuggì dalle mani, anche se non ho fatto niente per far sì che ciò avvenisse. Ma nel caso di Drogba, di Essien, ho fatto di tutto per averli, loro sono esempi di giocatori che non erano conosciutissimi ad alti livelli in Inghilterra, ma in quel Chelsea non era una questione solo di qualità ma di profilo, mentale e caratteriale. E per questo quel Chelsea ha vinto quello che ha vinto, poteva vincere di più e ha continuato a vincere anche dopo di me per anni con la stessa gente. Era un gruppo di giocatori e ragazzi fantastici. E ci siamo anche divertiti molto!".

Quando sono arrivato al Chelsea non avevo quella mentalità vincente che poi il Mister ha trasmesso a ognuno di noi in quella squadra, il fatto che perdere non fosse un’opzione, dovevamo vincere e più vincevamo più si festeggiava, perciò c’era la responsabilità di allenarsi al massimo e la partita poi veniva da sé. E ovviamente il mister era più contento, se non vincevamo meno.
"Gli allenamenti erano partite. Penso che oggi gli allenamenti vengano visti dai giocatori come allenamenti e noi li vedevamo come momenti per competere e migliorare. Ricordo ancora quando durante gli allenamenti facevo il countdown per le partitelle aumentando rallentando il tempo, perché alla fine era importante l’allenamento soprattutto con giocatori come Terry, Lampard, e ragazzi non erano facili, anche per chi arbitrava gli allenamenti. Io non volevo farlo, non erano facili!".

So che non è una domanda facile per te, ma tra tutte le incredibili squadre che hai allenato quel Chelsea è stata la migliore?
"Non posso dirtelo perché ho vinto molto anche con altri club. In quel Chelsea non sono stato abbastanza fortunato da vincere la Champions League, abbiamo perso una semifinale ai rigori, un’altra semifinale con un gol che con la Line Technology non sarebbe stato gol e quindi saremmo andati in finale, magari vincendola. Non siamo stati fortunati in Champions, ma quella squadra è stata una delle migliori, abbiamo condiviso tanto, gli stessi principi, ci piacevano le stesse cose. E c’è una cosa che non ho mai chiesto a Obi: la prima partita dopo che venni esonerato fu contro il Manchester United e si fece espellere, per me fu triste".

Lampard ci ha detto che quando venne a sapere che avevi lasciato il club la prima volta era in lacrime, che avete avuto solo due discussioni e si sentiva come avesse perso un padre.
"Lampard era il professionista perfetto, non come Obi che non era facile da tenere, non so se Frank ricorda una discussione che avemmo prima di una partita contro il Manchester City, veniva da un record incredibile di partite giocate di seguito e voleva continuare a batterlo. Sentii che aveva la febbre a 40 e gli dissi che non poteva giocare così, ma lui voleva sempre giocare. Mentre questo ragazzo qui (Obi, ndr), non era facile. Un ragazzo dolce, educato ma non facile. E troppo estroverso! Gli piaceva il sabato sera ma non voglio parlarne adesso, ha moglie e figlie".

John Terry ci ha raccontato di una volta, durante la tua seconda esperienza al Chelsea, che dopo un periodo in cui giocavano male sei andato da lui e Cahill dicendo: “Se continuate così potete andare, comprerò Varane”. Non si sono mai allenati duramente come hanno fatto dopo quella discussione.
"John è un’enciclopedia. Ricorda tutto, molto più di me. Ma una cosa che continuo a dire è che se mi comportassi adesso come facevo a quei tempi, i giocatori non giocherebbero. C’erano volte che all’intervallo rompevo di tutto, anche la tavoletta per i massaggi, e quei ragazzi entravano in campo e uccidevano gli avversari. Ma so che oggi non lo potrei fare, o solo con certi giocatori, perché altri si nasconderebbero e non vorrebbero la palla. È una cosa che si può fare solo con certi profili, ma in quello spogliatoio i giocatori di esperienza avevano tutti quel profilo, e così i giovani sarebbero cresciuti imparando da loro. A Stamford Bridge, se a fine primo tempo non eravamo in vantaggio di due gol, impazzivo. Volevo che i ragazzi chiudessero subito le partite, sono cose che spesso ricordiamo insieme. L’unica cosa negativa è che mentre io resto giovane, questi ragazzi sono invecchiati…".

Abbiamo parlato più volte con Brendan Rodgers. Ricordo quel Chelsea-Liverpool nel 2014, non avevo mai visto José Mourinho così teso. Sappiamo tutti come andò a finire, con lo scivolone di Gerrard e il gol di Demba Ba, ma si giocò come se il Chelsea potesse vincere il campionato. Perché?
"Nulla di personale con Brendan. È un bravo ragazzo, era un allenatore giovane come quelli che durante la pausa per le nazionali faccio venire a lavorare con me. Abbiamo anche giocato contro nell’ultimo anno, ci vogliamo bene e quando lo sento per scherzare lo chiamo Special Two. Riguardo quel Liverpool-Chelsea, quella partita si giocava tra andata e ritorno della semifinale di Champions League contro l’Atletico Madrid. Avevamo pareggiato 0-0 l’andata e avremmo giocato in casa al ritorno, una cosa importante per il calcio inglese. In campionato eravamo fuori dai giochi, la lotta per il titolo era tra Manchester City e Liverpoool e al Liverpool serviva vincere per essere campione. Perciò chiedemmo di giocare venerdì sera o al massimo sabato a mezzogiorno. Ce lo impedirono, a causa degli ascolti o non so cosa. Non potevo neanche schierare l’Under 18 perché non sarebbe stato giusto per il Manchester City, perciò dal momento che non ci permisero di anticipare andai lì per distruggerli. Fuori dallo stadio c’era il merchandising con il Liverpool campione, non puoi farlo se giochi contro il Chelsea, perciò feci qualche cambio ma andammo lì per distruggerli. Ovviamente Gerrard era l’ultima persona che meritava di fare quello scivolone, ma stavamo giocando comunque molto bene e sinceramente non mi sono dispiaciuto troppo per Rodgers, è mio amico ma quando si gioca gli amici restano a casa".

Una delle cose che sono state un privilegio è ascoltare Terry e Lampard. Loro parlano della cultura del Chelsea, della cultura che hai contribuito a implementare. JT ha detto di aver rimpianto di essere stato duro a volte a causa degli standard del Chelsea e che forse c'era bisogno di un approccio più morbido. Pensi che avresti potuto usare metodi e standard diversi o no?
"Un po' entrambe le cose, ma ad essere onesti se alcuni giocatori sono andati via è perché volevano e perché non volevano aspettare. La storia di giocatori come Salah e De Bruyne dimostra che la loro scelta è stata giusta, perché hanno raggiunto standard elevati. Ma a volte i giocatori prendono decisioni del genere perché non vogliono aspettare, non hanno la pazienza per stare calmi e attendere il momento giusto. A volte la loro carriera va nella direzione sbagliata perché loro prendono decisioni sbagliate; quando la gente mi dice 'hai lasciato Salah andare via' io dico esattamente il contrario. Io ho detto di comprarlo, stava andando al Liverpool e ho lottato per averlo. Poi arriva la parte in cui per essere un giocatore del Chelsea devi performare o aspettare. Non ha voluto aspettare, ha scelto di andare via e il Chelsea ha deciso di venderlo. Poi è andato alla Fiorentina, alla Roma... Non ho deciso io di venderlo: io dicevo di lasciarlo partire in prestito se lui sentiva questo bisogno di giocare sempre. Con Kevin la situazione è stata simile: siamo andati in Asia, Indonesia e Thailandia prima dell'inizio della stagione e lui sarebbe dovuto partire in prestito in un club tedesco. Io ho detto al mio club che lo volevo con me e che avrebbe iniziato la Premier League giocando dall'inizio. Dopo quella partita abbiamo giocato la Supercoppa Europea col Bayern: lui non ha giocato. Il giorno successivo voleva andarsene. Poi, quando abbiamo giocato la sfida col Manchester United abbiamo pareggiato e lui era in panchina: ha giocato qualche minuto e non gli è bastato, quindi voleva andarsene. Quando sei al Chelsea e vuoi andartene arriva un altro al tuo posto. Lui ha avuto una carriera fantastica e continua a viverla, ma non se ne è andato a causa mia. Probabilmente ho spinto altri ragazzi ad andarsene, ma non loro due".

Anche Lassana Diarra voleva andarsene e avete avuto un incontro.
"L'ho avuto al Chelsea e al Real Madrid. Vedete i miei capelli bianchi? Sono colpa di Lassana Diarra (ride, ndr.)! La parte destra dei miei capelli è bianca a causa sua e del suo agente. L'agente di Lassana diceva: 'Se inizia la partita, gioca 90 minuti e lo fa bene, lui deve avere un nuovo contratto più ricco il giorno successivo. Se non gioca e va in panchina, il lunedì successivo se ne deve andare!'. E l'ho preso al Real Madrid. Lui è stato un giocatore fantastico".

Ha avuto una grande carriera!
"Ha giocato ovunque: a Parigi, nell'Arsenal, al Real Madrid, al Chelsea".

E quale allenatore ti ha fatto strappare i capelli? Quale rivalità ti è piaciuta di più?
"Tutte. Prima o poi hai sempre un buon rapporto con tutti, sempre. Con Benitez a volte oltrepassavo il limite e lui rispondeva provocando: ci siamo incontrati quando lui era a Newcastle e io ero allo United, abbiamo parlato e alla fine non abbiamo avuto sensazioni cattive. Penso che le rivalità siano quello che ti fa diventare migliore. È divertente, credo che l'unica cosa che Wenger non possa dimenticare sia quando nella partita numero 1.000, che è una sfida da ricordare e da celebrare, il Chelsea ha vinto 6-0 con l'Arsenal".

C'è una separazione che ti fa ancora male?
"Ogni volta che te ne vai da un club non stai benissimo. Quando vai via per tua scelta provi qualcosa, quando ti mandano via provi un'altra cosa. Al Chelsea mi chiedevo il motivo, perché quando hai un momento in cui le cose non funzionano e non hai buoni risultati per un certo periodo le motivazioni sono diverse. Una di queste è quando l'empatia tra il mister e lo spogliatoio non c'è più: per questo il club non può cacciare 20 ragazzi, ma può mandare via un allenatore. Si rompe sempre tutto dal lato più debole. Questo non è accaduto al Chelsea, quindi avevo cattive sensazioni ma allo stesso tempo avevo la maturità per stare bene. La vita va avanti. La separazione più ridicola è stata quella con un club che ha la stanza dei trofei vuoti due giorni prima di una finale. Il Tottenham non aveva mai vinto e io non ho potuto giocare la finale".

Avevi un piano?
"Sì, ma a volte non funziona. La realtà è che ogni volta che andavamo a Wembley col Chelsea e vincevamo; sono andato lì con lo United tre volte e ho vinto due volte. Quindi la statistica era buona e in questi match devi sentirti a tuo agio. Devi sentire lo stadio pieno. Ho cercato di aiutare la squadra, ma la finale era contro il Manchester City. Qualche settimana prima avevamo vinto contro di loro 2-0 nel nostro stadio: ci sentivamo bene. Mi trovo a Roma dopo quest'esperienza: ci sono ambizioni differenti ma mi sto divertendo al massimo delle possibilità, mi piace stare qui".

Il tuo record casalingo tra il 2002 e il 2011 dice che non hai perso una partita casalinga in questo lasso di tempo. Wow..
"L'ho detto un sacco di volte, questo record è veramente importante. Cambiasso l'altro giorno diceva esattamente la stessa cosa. Non so come sia successo... Prima di tutto giocavamo con responsabilità ed eravamo le squadre migliori, tra Chelsea, Porto e Inter e due anni di Real Madrid. Stiamo parlando delle migliori squadre, i migliori giocatori: succede quando crei una certa atmosfera , che sono riuscito a creare in qualsiasi club tranne nel Tottenham. Ma al Tottenham era periodo di Covid, gli stadi erano vuoti e non ho mai potuto dire 'ciao' e 'addio' ai tifosi. I tifosi sentono che la squadra è lì per loro e anche loro giocano: ricordo una partita di Coppa tra Chelsea e Tottenham, eravamo sullo 0-3 al termine del primo tempo e alla fine abbiamo pareggiato 3-3. Poi abbiamo vinto nello stadio del Tottenham, siamo andati in finale e l'abbiamo vinta. Lo stadio stava giocando con noi. Siamo stati magici, penso che lì non si parli solo di allenatore, giocatori o tifosi, ma di tutti e tre le componenti".

Nel giorno dell'esordio di Ibrahimovic c'era qualcosa di speciale nell'aria, come quando avete vinto l'Europa League. Hai rimpianti per quanto riguarda la tua esperienza al Manchester United?
"Non ho rimpianti, perché ho dato tutto e ho fatto il massimo. Amo il club, i fan; la storia del club è da rispettare e ho dato tutto quello che potevo dare. Il secondo posto è ancora il miglior piazzamento dopo il periodo di Ferguson, l'Europa League è ancora il più grande obiettivo raggiunto negli ultimi 10 anni. Non è nella mia natura tornare indietro e parlare: mi piace parlare delle cose belle, sì, ma non mi sento a mio agio, non è una cosa che significa molto per me. Però ci sono ancora persone in quel club, giocatori e non, che erano ancora lì quando ho detto dopo due mesi che non ce l'avrebbero fatta a raggiungere l'obiettivo. E sono ancora lì. Hanno ancora un CEO fantastico, che avrei voluto avere nel corso della mia esperienza, ovvero Richard Arnold. L'ho avuto come direttore commerciale. Non ho rimpianti perché ho dato tutto ai tifosi; ho apprezzato quella volta in cui sono andato allo stadio per commentare su Sky e i tifosi hanno iniziato a cantare per me. Mi succede quando vado a San Siro, Madrid, a Oporto. Ma quando vado lì e vedo un club con quella storia che canta per me dopo che ho vinto un'Europa League e ho raggiunto un secondo posto realizzo che ho dato tutto, quindi non ho rimpianti".

Oggi non puoi chiedere ai giocatori ciò che chiedevi a Terry.
"Rido di questi tempi, ma sono tempi diversi. Anche per fare il papà, devi essere un papà diverso. Non c'è possibilità di cambiare, devi cambiare in base al mondo. Quindi il calcio è un po' una conseguenza di questo".

Sulle sostituzioni?
"Prima la panchina era piena di qualità. Lo dico sempre: meglio giochi, migliore sei come allenatore. Non c'è dubbio. Puoi chiedere di più, fare più cambi, ma il numero dei giocatori e la loro qualità è importante. Qualche giorno fa un ragazzo mi ha chiesto che cosa poteva fare per giocare di più; io gli ho detto: 'Non puoi fare nulla, stai facendo tutto bene. In allenamento sei fantastico, in panchina sei dalla mia parte, sento che sei dalla parte della squadra. Quando ti metto dentro fai il tuo lavoro. Il fatto è che se vogliamo essere una squadra migliore ho bisogno di giocatori migliori in panchina. Non puoi fare nulla di più per giocare maggiormente'. Questa è la realtà delle cose, hai bisogno di una buona panchina e di buoni giocatori. Di giocatori frustrati, perché tutti sono frustrati quando non giocano sempre. Bisogna far capire alla gente che la cosa più importante è arrivare all'obiettivo. Prima era più facile, ora i giocatori hanno grandi agenti, hanno persone che parlano continuamente e i giocatori sono più egoisti di prima per avere una squadra migliore e uno spirito migliore. Ora la sfida è diversa da prima".

Parli della personalità dei giocatori, dell'avere buone persone. Qual è il miglior acquisto della tua carriera? Quel ragazzo che valeva tutti i soldi spesi per lui.
"Mi rifiuto di rispondere. Sarei ingiusto. A volte non sono nemmeno felice, perché arriva qualcuno che fa il mio 'miglior undici' e la gente pensa che io abbia scelto quei giocatori. Qualsiasi giocatore che mi ha dato tutto, che mi ha dato il sangue, il sudore e l'anima è uno dei miei preferiti. Quando mi chiedono: 'Chi è stato il tuo miglior bomber?'. Drogba, Cristiano, Ibra... Non posso rispondere. Non posso. Per me è impossibile e per loro è ingiusto. A volte puoi ottenere un giocatore economico che è migliore di un altro, non so... I ragazzi che mi hanno dato tutto sono miei ragazzi".

Penso che sia una domanda facile a cui rispondere (Obi Mikel ride, ndr.)!
"Non è solo il tuo caso. A me fanno molto piacere situazioni simili alla tua. Nella tua prima partita di Champions eri un ragazzino; hai vinto la Champions e forse hai giocato 50-60 partite. Sei venuto al Chelsea con 6 pounds nel portafoglio e ora sei un ragazzo stabile, un uomo, un bravo ragazzo. Ho avuto Nacho nel Real Madrid che ha giocato la sua prima partita con me a 18 anni e ora è il capitano del Real Madrid. Varane ha giocato la prima partita con me e ha vinto tutto. Con questi ragazzi ti connetti in prospettive diverse. Ho un solo figlio a Londra e lo amo più degli altri, ovviamente, insieme alla sorella. Voi siete i miei ragazzi, hai ragione".

Tu stai bene a Roma, penso che tu stia costruendo qualcosa di speciale lì. Starai lì per un po'?
"Sono felice, ma sono alla fine del mio contratto, quindi quando sei alla fine del contratto la decisione passa nelle mani del club. Diventa una tua decisione scegliere se vuoi sederti a parlare o meno. Ma sapete, mi concentro sull'oggi, voglio dare tutto quello che ho, divertirmi. Il club è molto bello, c'è un sacco di gente simpatica con giocatori che non sono i migliori del mondo ma che sono molto bravi. I tifosi sono fantastici, la città non consente di avere una vita sociale ma è sorprendente. Sì, sono molto felice".

Come sei cambiato nel corso degli anni?
"Le viti sono ancora un po' allentate a volte (ride, ndr.). Sono lo stesso, mi diverto allo stesso modo, mi piace vincere allo stesso modo, odio perdere allo stesso modo. Ovviamente l'esperienza ti mette di fronte a prospettive diverse, diventa una specie di dejavu, colleghi le cose... Ma la sensazione di lavorare con giovani ragazzi, con nuovi John Obi... A Roma in tre anni ho tirato fuori 15 ragazzi. Si tratta di una sensazione in più. La squadra è buona, abbiamo le nostre ambizioni. Ci sono club con più potenziale di noi. Ora (nel giorno dell'intervista) siamo al quarto posto: ciò significa che abbiamo più possibilità di qualificarci in Champions, abbiamo tanti giocatori buoni. Lottiamo e ci divertiamo. Quando ti diverti lavorando in compagnia significa che sei nel posto giusto". 

Chi vince la Premier League?
"Manchester City al 51%, Liverpool al 49%. Niente Arsenal. Rivalità a parte, vorrei che vincessero. Il Chelsea e lo United non vinceranno, sarei felice se l'Arsenal vincesse, per rompere un po' quella cosa... Dico 51 City e 49 Liverpool perché sta arrivando un accumulo di partite e il City ha due squadre".

Sul Newcastle?
"Hanno fatto un lavoro fantastico. Sono davvero felice di non essere stato l'allenatore del Newcastle nel match contro il Psg! Sarei stato squalificato per dieci partite. Non commento le decisioni..."

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