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Il personaggio

"Stai con noi o sei contro?". E così Mourinho torna all’antico

Se lo Special One attacca lo fa per difendere, erige un muro per proteggere la propria squadra e nel clou della stagione fa terra bruciata attorno

José Mourinho durante una fase del match contro l'Hellas Verona

José Mourinho durante una fase del match contro l'Hellas Verona (GETTY IMAGES)

Andrea Di Carlo
21 Febbraio 2023 - 09:24

Nessuno tocchi la Roma. Firmato José Mourinho. Un messaggio diretto e chiaro lanciato ancora una volta dalla pancia dell’Olimpico, al termine della gara contro l’Hellas Verona. È lì che il tecnico di Setubal è tornato a indossare con immutato stile i panni dello Special One, l’uomo in grado di compattare il gruppo e proteggerlo dalle intemperie, dai fattori esterni, dalle critiche e dai fischi. Un “copione” in parte già visto, tracce di dna mourinhano dal marchio inconfondibile.

Special One
Bastone e carota, un lavoro sfiancante sulla testa dei suoi calciatori. Lo ha fatto in passato, lo sta nuovamente attuando sulla panchina giallorossa. Perché José Mouriho è diventato “Special” soprattutto agli occhi dei suoi calciatori per quella capacità innata di saper toccare certe corde emotive, di saper usare una strategia comunicativa volta alla difesa del gruppo, con il quale parla e al quale si rivolge senza filtri. Lui può urlare, sottolineare e precisare limiti e mancanze, gli altri no, gli altri restino fuori. Ma in bella vista, perché si trasformano nel nemico da combattere, l’obiettivo da centrare, l’idea da sradicare, la motivazione extra per la quale lavorare duramente durante la settimana, con la voglia di zittire detrattori e opinionisti, ma anche tifosi.

Lo sfogo
La stampa non la esclude, anzi sottolinea come non aiuti in nessuno modo, ma dopo la gara con il Verona lo Special One se l’è presa anche con i tifosi, o meglio con alcuni tifosi. Per i fischi a Bove, per i fischi a Celik, per quelli a Pellegrini: accusati di non capirci molto, di non avere la “competenza” per apprezzare lo sforzo del capitano giallorosso di mettersi sempre a disposizione. «Io ormai sono vecchio, ho i capelli bianchi, ma a questi ragazzi serve sostegno». Un input chiaro nel momento clou della stagione, volto a compattare l’ambiente, lanciando una sorta di appello: chi sta con noi o chi contro di noi? Chi è pronto a sostenerci e chi a metterci i bastoni tra le ruote?. Frasi, messaggi e segnali chiari lanciati senza filtri dallo Special One.

Zeru tituli
Tra i discorsi più celebri della carriera del tecnico portoghese, dal quale non è difficile ritrovare assonanze con quanto affermato poche ore fa: «A me non piace la prostituzione intellettuale, a me piace l'onestà intellettuale. Mi sembra che negli ultimi giorni ci sia una grandissima manipolazione intellettuale, un grande lavoro organizzato per cambiare l'opinione pubblica per un mondo che non è il mio. Negli ultimi due giorni non si è parlato della Roma che ha grandissimi giocatori, ma che finirà la stagione con zero titoli. Non si è parlato del Milan che ha 11 punti meno di noi e chiuderà la stagione con zero titoli. Io parlo con la stampa perché sono obbligato». Nulla di nuovo vero? Un nemico da combattere, il messaggio trasmesso alla squadra di non avere nessun supporto esterno, di essere “soli”, di poter contare solo e unicamente sulla forza del gruppo, dello spogliatoio, della comune fame di vittoria.

Il cerchio
L’immagine più bella, una cartolina dall’Olimpico che ha fatto gonfiare il petto all’intera tifoseria. In quell’abbraccio Mourinho ha coinvolto tutti, chi ha giocato e chi no, chi vede il campo sempre e chi raramente. Vince il gruppo, conta la famiglia, il resto può e deve rimanere al di fuori di quel cerchio. Lo ha detto ai suoi ragazzi guardandoli dritti negli occhi: la storia siamo noi, il lavoro quotidiano, la ricerca di superare i nostri limiti, la cultura del sacrificio che di giorno in giorno viene coltivata anche sui campi di Trigoria.
Ma l’aiuto dell’Olimpico può essere decisivo e questo Mourinho lo sa bene. Per questo ha chiesto un sold out “reale” con il Salisburgo, non una presenza numerica formale, ma l’idea di sedersi sugli spalti e giocare la partita, come e più di chi andrà in campo.
Una compattezza dentro e fuori, quella che lo Special One sta cercando di consolidare in queste ore, a modo suo, a muso duro, senza filtri. Special non lo si diventa per caso. 

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