AS Roma

Taddei, la gioia del calcio forgiata dal dolore

La tragica morte del fratello: 3 mesi dopo segna a Perugia e mette la mano destra sotto la maglia mimando il battito cardiaco. Passando per l’Aurelio e la gara in Sud

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Mauro De Cesare
15 Luglio 2022 - 13:00

Una scommessa, quasi una provocazione, nata alle dieci di mattina, su un praticello verde, sotto un sole allegro, come allegri sono i due scommettitori: Rodrigo Taddei e Aurelio Andreazzoli. Lui, Rodrigo, piede da brasiliano, corsa da tedesco, mai stanco, veramente il celebre “sette polmoni” che suda e ha sempre sudato anche per gli altri. Chi? Gli artisti del Pallone. Ma sul praticello dall’erbetta curata, si diverte, quel giocatore dai capelli lunghi e lisci, provando una finta, oggi “skill”, un gioco di prestigio per saltare l’avversario. Eccolo, Rodrigo. Palla sul piede destro, dribbling sull’esterno, collo del piede che “abbraccia” il pallone, gamba sinistra in avanti a proteggere dall’intervento dell’avversario, piroetta e di piatto destro cambio di direzione e pallone che viaggia dalla parte opposta. Troppo difficile? Vi consiglio Youtube. Altrimenti non sarebbe frutto del genio brasiliano… E Andreazzoli, allenatore in seconda della Roma per un lungo periodo (dal 2005 al 2017, tranne mezza stagione da “primo” nel 2013) sfida quel brasiliano-europeo a fare la stessa cosa in partita. Sì, quasi una provocazione.

Sfida accettata. Il 18 ottobre 2006, nella partita tra Olympiacos e Roma, primo turno di Champions League, Rodrigo Taddei sorprende pubblico e critica. Anzi, fa il giro del mondo. Ripreso e trasmesso da moltissime televisioni, quel numero 11 orgoglio da romanista e dei tifosi romanisti, si esibisce in quella sorta di “elastico” rivisto e modificato e decide di chiamarlo “Aurelio”. E già, in onore di Aurelio Andreazzoli, uno dei vice di Spalletti.

Ma perché Rodrigo? Perché per lui c’è anche l’altra faccia della medaglia. Quella improvvisa, devastante e cos’altro… Taddei arriva in Italia per giocare nel Siena. Esordio dei più belli e inattesi: promozione in serie A. La prima della storia del club. Ma stavolta non c’è spensierata scommessa e provocazione. Rodrigo e il fratello Leonardo Ferrante viaggiano verso Milano per poi volare in Brasile. La sorte non potrebbe essere più perfida. Sì, perfida. Incidente stradale. Leonardo, calciatore della Primavera senese, quell’8 giugno 2003 vola nella Curva Paradiso. Ma è solo un’altra tappa di un viaggio, di un percorso. Niente pensieri né parole. Inutili.

Banale parlare di dolore. Rodrigo, piange e lotta. Tre mesi dopo gioca a Perugia. Segna. Corre. È un attimo. Mette la mano destra sotto la maglia e mima il battito cardiaco. Da quel giorno sarà così. Sempre: gol su assist di Leonardo Ferrante. Un momento meritato di futbol bailado. Fiesta!

Ma non solo Rodrigo. Rudi Voeller Tedesco Volante, John Arne Riise dal sinistro proibito, Pluto Aldair, Pendolino Cafu, Olé-lé Candela, e tanti ne dimentico. Venuti alla luce in ogni angolo del mondo, in realtà nati e cresciuti romani e romanisti. Hanno attraversato, scritto e raccontato la storia eterna di una città e della Roma. Romanità, appartenenza, brindisi, sfrenata felicità per il trionfo in Conference della “loro squadra”. Mai tradita. Ma passando attraverso la gioia e il dolore di Rodrigo Taddei si riesce a ricordare anche un’altra parte della Curva Paradiso giallorossa: Dante, Roberto Rulli, Poldo, Geppo, Nicastro, Zappavigna, il Secco. Quando la Roma gioca, tifiamo e cantiamo. Insieme. Sì, noi. Ma noi insieme a loro. E in Sud ci sono sempre due posti: per Leonardo Ferrante e Rodrigo.

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