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Il Camp Nou: «Open Arms libera! Salvare vite non è un crimine»

Lo striscione srotolato sugli spalti durante l'inno della Champions riguarda la vicenda di Proactiva Open Arms e della sua attività nella zona di ricerca e soccorso (Sar)

05 Aprile 2018 - 10:32

Il Camp Nou lo ha gridato forte: «Liberate la Open Arms, salvare vite umane non è un crimine». Con un enorme striscione rosso srotolato sugli spalti durante l'inno della Champions, ieri sera i tifosi blaugrana hanno chiesto che l'Italia rilasci la nave della ong Proactiva Open Arms, sequestrata la sera del 18 marzo 2018 al porto di Pozzallo, in Sicilia, dopo aver salvato e sbarcato 216 migranti proveniente dalle coste libiche. L'organizzazione, impegnata nel soccorso delle persone che compiono la traversata dall'Africa all'Europa, è stata inizialmente accusata di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina a causa di quanto avvenuto il 15 marzo in mare.

Il gigantesco striscione non era ufficialmente autorizzato dal Barcellona, ma è noto che il club catalano abbia chiuso un occhio per favorire la dimostrazione di solidarietà. Del resto, il Barcellona non ha mai nascosto il suo appoggio all'ong Proactiva, ufficializzato con un accordo firmato l'autunno scorso. Tramite la sua Fondazione, la società blaugrana si è impegnata in un progetto di sensibilizzazione sul tema dei rifugiati politici. Lo stesso tecnico Valverde, alcuni giorni fa, ha presenziato a un evento di Proactiva mostrando il suo sostegno alle attività dell'organizzazione.

Proactiva Open Arms è stata fondata nel 2015 dal catalano Oscar Camps ed è recentemente finita al centro del più vasto dibattito sulle organizzazioni non governative. È infatti sotto accusa per non aver consegnato ai guardacoste libici 117 migranti salvati in mare lo scorso 15 marzo e per non aver interrotto le operazioni di salvataggio, come ordinato dalla centrale operativa della guardia costiera di Roma. Quel giorno, una motovodetta libica si è avvicinata alle lance della Open Arms chiedendo, con la minaccia dell'uso delle armi, il rilascio immediato di tutti i migranti salvati, inclusi donne e bambini. Gli attivisti della Open Arms si sono rifiutati e sono poi partiti alla ricerca di un porto, ma per più di 24 ore non hanno ottenuto l'autorizzazione allo sbarco, finché non è arrivato il nullaosta per l'attracco al porto di Pozzallo, dove la nave è stata sequestrata dal procuratore Zuccaro. L'accusa di associazione a delinquere è caduta ma rimane quella di immigrazione clandestina. La procura, inoltre, contesta alla ong di non aver sbarcato a Malta, che era il porto più vicino.

Riccardo Gatti, portavoce italiano di Proactiva, ha rivendicato così la scelta di non consegnare i migranti ai guardacoste libici: «Sappiamo che i libici hanno compiuto numerose azioni illegali, abusi e maltrattamenti ai danni dei migranti. Sappiamo anche che i libici non hanno giurisdizione in acque internazionali, anche se collaborano con l'Italia e l'Europa, quindi non abbiamo obbedito alla loro richiesta di trasferire i migranti».

Nei giorni successivi è arrivato anche un appello firmato da 29 accademici di tutta Europa, che hanno richiesto l'intervento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e della Corte Penale Internazionale per l'apertura di un'inchiesta sulle responsabilità italiane riguardo ai crimini contro l'umanità che si commettono in Libia. «Sulla base di rapporti ben documentati sui diritti umani, il capitano della nave sapeva che questo avrebbe implicato esporre queste persone al rischio di essere sottoposte a tortura, trattamento inumano o degradante, schiavitù o lavoro forzato o obbligatorio», hanno scritto.

La vicenda di Proactiva Open Arms si colloca nella complicata questione legata ai soccorsi nel Mediterraneo e in particolare alla zona di ricerca e soccorso (Sar), dal 2013 presidiata dalla guardia costiera italiana ma rivendicata dall'agosto scorso da parte della guardia costiera libica. Tuttavia, l'autorizzazione della zona Sar ai libici non è ancora mai stata concessa ufficialmente, anche se la guardia costiera italiana ha comunicato che i soccorsi del 15 marzo erano sotto il coordinamento di Tripoli. La situazione è in pieno divenire e, al momento, l'ultima notizia è che i pm catanesi vogliono interrogare i responsabili dell'ong, che si sono rifiutati. Non si escludono dimostrazioni a Roma nella partita di ritorno dei quarti di Champions League il 10 aprile prossimo.

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