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Vedi Napoli e poi vivi: il racconto della partita vissuta al San Paolo

La Roma da vittima designata a squadra guasta-feste, nonostante l'assenza dei suoi tifosi. Il secondo gol di Mertens lo vedono in pochi

04 Marzo 2018 - 09:00

Immagina. Puoi. Immagina una notte napoletana ai limiti dell'impossibile. Immagina una luna (giallo)rossa che sovrasta il San Paolo in una notte da lupi, ma anche da leoni. Immagina un poker servito al più celebrato degli allenatori (che infatti non lo aveva mai subìto nei tre anni sotto il Vesuvio), peraltro in casa sua. Immagina. Ora puoi.

Prima però urge un passo indietro. Perché c'è un prologo alla notte da fantascienza orchestrata da Dzeko e Alisson, ma con uno spartito suonato quasi alla perfezione dall'intera orchestra. Un prologo che ha bisogno della stessa immaginazione in questo momento, quando gli occhi sono ancora pieni dopo mille stropicciamenti. E allora immagina una squadra più spesso allo sbando che sulla retta via. Sfibrata, priva di mordente, in balia di eventi e troppo spesso di avversari anche di gran lunga inferiori. Immaginala venire nella tana della squadra chegiocailmigliorcalcio, detto così, tutto d'un fiato perché ormai è un mantra indiscutibile.

Immaginala vittima designata. Immagina che alla vigilia della sfida il mondo che la circonda firmerebbe per qualcosa meno di un pari, «una sconfitta onorevole, di misura». Così si diceva. Sul serio. Immagina che nella città più vicina, ma al tempo stesso più ostile fra quelle in Italia (dove pure sono in pochi a volerci bene) si sentano già vincitori. Immagina i pronostici tutti da un lato. Quello sbagliato. In ogni senso. Immagina quella squadra dipinta da tutti come derelitta prima ancora di entrare al San Paolo, che mette piede su quel campo e pronti via prende gol. Dopo soli cinque minuti la vita si fa maledettamente dura, se ogni rete incassata da troppo tempo viene assorbita come l'inizio di un dramma ineluttabile.

Immagina che da quel momento in poi quella squadra, la nostra squadra, quella che credevamo di aver irrimediabilmente smarrito da dicembre in poi, sovverta non solo pronostici, speranze, illusioni, disillusioni, certezze consolidate, mainagioismi assortiti. Ma che ribalti il mondo. Che lo capovolga proprio (portandolo dal lato giusto, perché è sempre cosa buona e giusta quando la Roma vince) e lasci tutti a bocca aperta. Ancora una volta. Questa però è una meraviglia, e perfino l'inusuale vento sferzante che investe il golfo di Napoli non può guastarla.

Che la serata abbia qualcosa di surreale nella sua aria è chiaro fin da prima che cominci la partita. Il San Paolo gonfio di tifosi esplode due volte. Una al gol firmato da Dybala all'Olimpico, un'altra qualche istante più tardi. Chi è sprovvisto di video crede che la Juventus sia passata in svantaggio al fotofinish e che la seconda esultanza scandisca il fischio finale della gara in atto duecento chilometri più a Nord. Ma è appunto tutto frutto di un passaparola sbagliato.

Surreale è anche vedere la Roma che scende in campo senza tifosi al proprio fianco, anche se negli ultimi anni in Italia il divieto di trasferte viene accettato e assorbito come fosse la storia più regolare possibile. Non lo è. E i tifosi mancano maledettamente. Soprattutto quando dopo cinque minuti il San Paolo diventa una bolgia dopo il colpo di Insigne, che fa materializzare tutti i peggiori incubi. Pochi istanti prima la palla del vantaggio è stata sulla testa di Perotti, ma è finita sprecata. Si preannuncia un film già visto e dal finale poco lieto per chi ha a cuore le sorti giallorosse. Ma il mainagioismo lo inghiotte Ünder dopo appena un giro di lancetta sull'orologio. Il turco poco napoletano e molto romano ormai trasforma in oro tutto quello che tocca. E che il suo tiro da destra usufruisca anche della deviazione decisiva di Mario Rui, è una sorta di nemesi che si completa. Il pareggio rimette tutto in gioco.

La squadra riesce a contenere le sfuriate del Napoli, con un De Rossi sontuoso davanti alla difesa nell'intercettazione dei palloni e nella chiusura di ogni linea di passaggio. Mentre ai suoi lati Nainggolan e Strootman tornano su livelli dimenticati da tempo, limitando – e alla grande – il raggio d'azione dei rispettivi omologhi azzurri. Poi sale in cattedra il collettivo al servizio dei campioni: una strepitosa azione avvolgente, cominciata dalla propria trequarti e transitata da sinistra a destra, termina con il cross di controbalzo di Florenzi: Dzeko sale in cielo e di testa fulmina Reina. Vede il Napoli e poi i gol, Edin. Quelli pesanti. Qui ha segnato una doppietta nello splendido 3-1 della scorsa stagione. Qui comincia così a rivestire i panni del Dzeko di cuori, quello vero che punisce sempre le squadre importanti.

Poi si ripete a metà della ripresa, dopo aver concesso il proscenio al solito gigantesco Alisson. Proprio mentre la Roma soffre, ma si difende sempre corta e ordinata, lui è il totem al quale affidare il possesso e la "risalita" dei compagni, servendoli poi con lanci sempre precisi e assist squisiti. Ma non soddisfatto, va a prendersi ancora gloria personale. Peraltro meritatissima. Dribbling e tiro a giro di sinistro dal vertice destro dell'area napoletana. Palla nell'angolo lontano. Applausi. San Paolo ammutolito. E urla dei giocatori romanisti che nel silenzio generale arrivano fino alla punta delle tribune. Napoli è già violata, ma il tripudio arriva poco dopo, sull'azione di Kolarov a sinistra ancora Dzeko manca di poco il pallone, ancora Rui respinge corto e Perotti manda la Roma in visibilio. Dalle curve partono cori contro De Laurentiis, il gol di Mertens lo vedono in pochi, distratti da un clima pesantissimo (per loro) e leggiadro per chi è stato sotto il Vesuvio da romanista.

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