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Prospettiva Romanista - Spagna, cambiano gli impianti ma non la Polizia

Usi e abusi: trattati come terroristi, il numero identificativo sul casco è necessario

24 Novembre 2017 - 10:00

Ho sempre detestato le trasferte in Spagna. Moltissimi le apprezzano, buon cibo e begli stadi, ma non baratterei mai una trasferta in una qualsiasi città della Gran Bretagna con una in terra spagnola. Il clima che già respirai nel 1998-99, quando seguii la Roma al Calderon, sempre con l'Atletico Madrid, era pesante e ricordo bene come appena alzammo - senza alcuna provocazione - lo striscione del nostro gruppo dell'epoca intervenne subito la Guardia Civil a suon di manganellate, sui ripidissimi gradoni dello stadio. Quello mi bastò e, al di là del fatto che per ragioni professionali non riesco a fare una trasferta europea ormai da anni, sono sempre stizzito quando esce dal sorteggio una squadra spagnola. Anche l'altro ieri sembra si sia verificata la medesima situazione: lo stadio è cambiato, siamo rientrati nel campo degli stadi-astronave della nuova generazione, ma ciò che non è cambiato è l'atteggiamento della Polizia spagnola, che pare fosse alle prese con un branco di terroristi piuttosto che con romanisti al seguito della propria squadra in una trasferta non a rischio, visto che sembra essere ormai stata suggellata una sorta di amicizia con i tifosi dell'Atletico, come testimoniato anche dai cori anti Lazio, la cui tifoseria è amica dei madrileni in casacca bianca. Il risultato è stato di due persone arrestate per resistenza a pubblico ufficiale che, al momento in cui scrivo, sono davanti ai giudici spagnoli con l'auspicio di tornare a casa immediatamente.

Il clima in Italia da tempo è migliorato sotto questo profilo, anche se sacche di scarso controllo dell'operato delle forze dell'ordine affiorano periodicamente. Luca,un tifoso della Sambenedettese ricoverato a Vicenza, è finalmente uscito dal coma. Speriamo sia lui stesso a dirci se le diverse fratture al cranio riportate quando ha seguito la squadra rossoblu in Veneto siano state conseguenze di una caduta, ipotesi meno probabile anche se la più auspicabile, ovvero di più manganellate, cosa che sembra essere più logica anche se meno piacevole. Queste cose le conosciamo bene, sin dai tempi del ferimento di Alessandro Spoletini: sono sempre accadute e il più delle volte sfociano in qualche bernoccolo e nulla più, ma periodicamente si hanno casi in cui si rendono persone invalide, come avvenuto anni fa a Brescia con Paolo, o come oggi con Luca a Vicenza, sempre che per quest'ultimo le cose siano andate come si presume. Ed allora ci si chiede per quale motivo l'Italia sia uno dei pochissimi Paesi europei a non voler dotare di un numero identificativo gli agenti che svolgono servizi di ordine pubblico. I sindacati di Polizia ritengono che ciò renderebbe gli agenti identificabili anche dai violenti, che potrebbero poi attuare ritorsioni, ma non è così perché questo presupporrebbe che qualcuno sia in grado di risalire dal numero sul casco o sulla divisa alle generalità dell'operatore, mentre invece tutto questo è riservato solo alle stesse forze di Polizia o della magistratura. Il numero sul casco - garantendo l'anonimato dell'agente - ha invece un effetto dissuasivo per la mela marcia che va oltre il consentito e che sa che, se eccede, può essere identificato e punito. Nella Turchia di Erdogan, come nel resto d'Europa , tutto questo già avviene, meno che – indovinate un po'? - in due Paesi: Italia e, per l'appunto, Spagna e ciò ci rende fanalino di coda anche in questo campo, sorpassati anche dalla turbolenta Grecia.

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