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[Hall of Fame] Rudi Voeller, il tedesco che volava sotto la Curva Sud

Il primo anno fu difficile, Dino Viola lo trattenne. Poi il gol al Partizan e l'inizio della rinascita

02 Ottobre 2017 - 13:53

Forse oggi possiamo anche ammetterlo. Raramente si è visto un giocatore così sprecato in una squadra come Rudi Voeller nella Roma dal 1987 al 1992. Tecnicamente parlando, sia chiaro, perché raramente si sono visti due caratteri affini e simili come quello del tedesco e quello nostro. «Cinque anni a Roma, i più belli della mia carriera», li definisce sempre lui, anche oggi che vive e dirige il Bayer Leverkusen, uno dei più grandi attaccanti della sua epoca, che si è dato anima e cuore a una squadra che non era alla sua altezza. Ma era come il suo cuore. Tuttavia, anzi, forse proprio per questo se l'è caricata sulle spalle, l'ha anche fatta sembrare grande, a costo di passarsi la palla da solo. "Er tedesco sta a giocà da solo" si cantava nei momenti bui, ma era più un ringraziamento a lui che una polemica verso gli altri. Perché lui era fatto così. Era come noi. Era noi. Dove non arrivava il talento, arrivava il cuore. Per lui, che di talento ne aveva, e per la squadra, che ne aveva molto meno.

Aveva i baffi come Roberto Pruzzo, di cui era l'erede. Compito enorme all'inizio, e infatti all'inizio non incantò. All'inizio... Correva come una seconda punta, segnava come un bomber. Se lo picchiavano, si rialzava e dava la mano all'avversario. E se l'avversario finiva a terra, lo aiutava a rialzarsi. Se gli altri giocavano meglio, lo ammetteva. Se giocava bene lui, dava il merito ai compagni. Se giocavano male o erano stanchi, li aiutava. Non si poteva non amare Rudi Voeller, non si può non amare Rudi Voeller. «Era un leader. Affrontava il tifoso che contestava, gli avversari che ti infastidivano, trascinava i compagni». Parola di Ruggiero Rizzitelli, un altro romanista vero, uno che di cose di cuore se ne intende, che ha sempre pronto un aneddoto che dice tutto sul tedesco: «Una volta durante una partita si è avvicinato a me e mi ha detto: Ruggiero, stai qui. Sei stanco, lo vedo. Correrò io per te. Bè, un campione così che fa un gesto del genere è una cosa che ti dà una forza incredibile. Dopo pochi minuti ho ritrovato le energie grazie a lui e ho ricominciato a correre più di prima». «È un uomo vero – dice Bruno Conti – Non ti nasconde nulla e non ti volta mai le spalle». «Era il primo della fila in tutti gli allenamenti. Un grande professionista, un campione dentro e fuori dal campo. La mia fortuna è che gioca con me. Se ce lo avessi contro, non saprei come fermarlo». Parola di Aldair. Parole pesanti.

Il tedesco non ha iniziato subito a volare. Era già famoso, per i suoi gol col Werder Brema (capocannoniere della Bundesliga con 23 centri) e per aver segnato nella finale dei Mondiali del 1986 nella partita persa 3-2 contro l'Argentina di Maradona. Lo scelse Sven Goran Eriksson nel 1987, ma se lo godé per primo Nils Liedholm. Pare che il Barone non si premurò neanche di sapere il suo segno zodiacale... Per averlo al meglio, però, dovette aspettare un anno. O giù di lì. Anche se Voeller iniziò a segnare subito, alla seconda giornata, contro il Cesena. Poi un infortunio e un rientro affrettato. Troppo affrettato. «Stavo male. Dicevano che la Roma aveva comprato un giocatore rotto. Questo mi ferì molto. Se sono rimasto alla Roma lo devo al presidente Dino Viola».

Stava per andare all'Eintracht Francoforte. «Non fa per me, ci ho provato, mi dispiace», più o meno disse. Nel mercato di riparazione del 1988 era tutto fatto, la Roma si era cautelata prendendo Daniele Massaro in prestito. «E invece no, tu non ti muovi da qui», più o meno (più più che meno) rispose Viola. C'è voluta la cocciutaggine e la forza del presidente per farlo restare. A volte finiva in panchina anche nelle prime partite della sua seconda stagione. Ma quando decise di rimanere, iniziò a volare. E quanto in alto... Il volo cominciò dalla Coppa Uefa, col Partizan Belgrado. Prese tre pali,fece un gol. "E questo quanno l'avemo comprato?" urlò un tifoso dalla Monte Mario. Un anno prima, giusto il tempo per mettere le ali.

Era la Roma del mezzo Olimpico. Uno stadio in rovina per una squadra quasi in rovina. Spenta. Tutto si regge sulle spalle di Rudi Voeller. Da lui arriva la gioia più bella. Il botto di Capodanno contro la squadra che viene dalla città famosa per i botti di Capodanno, il Napoli. Alcuni suoi compagni di squadra hanno uno stop che è un tiro. Lui ha un colpo di testa che è un tiro. Buon anno. "Vola, tedesco vola, la curva s'innamora", ma la Curva Sud fisicamente non c'è, a causa dei lavori di ristrutturazione. È proprio in quell'anno, da quell'altra curva, dove tifare Roma fa sempre una certa spiacevole impressione, che parte il coro "Er tedesco sta a gioca' da solo", in una partita persa col Milan.

Dal mezzo Olimpico al Flaminio intero. Quattordici gol, il coro non è più "Er tedesco sta a giocà da solo", ma "Questa Roma sta a giocà cor core". La Roma di Gigi Radice ritrova l'Europa e vince uno dei derby più derby di sempre. Ci sono solo duemila romanisti. Segna lui, raccogliendo una smanacciata di Orsi su cross di Giuseppe Giannini: 1-0. Delirio. Il 1990-91 è l'anno del ritorno all'Olimpico, dove nell'estate delle notti magiche è diventato campione del Mondo con la sua Germania. Sua almeno quanto la Roma. È il suo anno. Segna 11 gol in campionato, 4 in Coppa Italia, 10 in Coppa Uefa, di cui diventa capocannoniere. Totale: 25 gol. Nessuno fa meglio di lui in Europa, quindi nel Mondo. È il capocannoniere di tutti i tornei. Fa il suo gol più bello alla prima giornata contro la Fiorentina, con un destro al volo: 4-0. Segna tre gol tutti insieme al Bordeaux. Segna in tutti i modi. Fa il cucchiaio alla Lazio e al futuro portiere della Lazio, Marchegiani, che gioca col Torino. Un giovane raccattapalle guarda e impara. Si chiama Francesco.

Rudi fa anche un pallonetto su punizione all'Anderlecht e poi a Bruxelles ne fa altri tre. Tre a due per la Roma. Che Coppa! Che Voeller! È l'attaccante stimato da tutti e, soprattutto, è l'attaccante amato dai romanisti. Rudi Voeller ci ha fatto coraggio quando le cose andavano male, ci ha fatto godere quando andavano bene. Ci ha fatto urlare come mai in semifinale di Coppa Uefa contro il Broendby, quando tutto era perduto. Se vi concentrate e chiudete gli occhi, potete ancora sentire l'eco di quell'urlo. Uno dei boati più forti di tutti quegli anni. Non si poteva non amare Rudi Voeller e grazie a lui non si poteva non amare quella Roma, anche se non era una grande Roma. Con lui lo è diventata, ha raggiuntouna finale di Coppa Uefa e ha vinto una Coppa Italia. Il gol decisivo l'ha segnato lui su rigore. A Genova. Dopo un 1-1, tanto per omaggiare una certa storia... La Storia.

La sua ultima stagione non andò benissimo, ma nel finale segnò i gol che consentirono alla Roma di qualificarsi alla successiva Coppa Uefa. Lui invece l'anno dopo avrebbe giocato la Coppa Campioni, con la maglia dell'Olympique Marsiglia. E l'avrebbe pure vinta, dedicando un pensiero ai tifosi giallorossi. Il tedesco che volava ma che non aveva paura a sporcarsi le mani per la Roma. Ci ha provato anche da allenatore, a mettere le mani su una Roma disastrata. È andata male, ma il ricordo non è stato scalfito. «Roma e la città di Roma per me saranno sempre un posto speciale», ha detto nel momento del suo ingresso nella Hall of Fame. Sempre grazie, tedesco.

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