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Coppitelli: «Antonucci è da Serie A, ha un pregio raro per un giocatore di classe»

Intervista all'ex allenatore di Mirko: «Con lui ho vinto 2 scudetti. Ha una tecnica in velocità fuori dal comune e pensa agli altri»

26 Gennaio 2018 - 08:45

Mercoledì 24 gennaio i ‘99 della Roma erano al Tre Fontane per uno degli appuntamenti più importanti della stagione, la semifinale di andata di Coppa Italia Primavera, contro il Torino. Tutti, tranne Mirko Antonucci, il numero 10: 10 presenze quest'anno nel campionato Primavera, 10 convocazioni in serie A, su 21 giornate. La decima è stata quella buona: contro la Sampdoria Di Francesco lo ha messo in campo, al 28' della ripresa al posto di Cenzig Ünder, e il ragazzino con la maglia numero 48 si è dato subito da fare, sfiorando il gol al primo pallone, e mettendo in mezzo, di prima intenzione, quello del fondamentale pareggio di testa di Dzeko. «Lo avrei salutato volentieri, visto che abbiamo mantenuto un ottimo rapporto: però così non l'ho avuto contro», commenta Federico Coppitelli da Frascati, tecnico del Torino Primavera, dopo aver allenato 4 anni nel settore giovanile della Roma, vincendo due scudetti, 2014 e 2015. «E in entrambi i casi c'era Mirko: titolare sia in età, coi Giovanissimi, che l'anno dopo, sotto età, negli Allievi».

Quindi non è rimasto sorpreso nel vederlo esordire così bene.
«Lui è un giocatore di serie A. Ha qualità incedibili, su tutte la tecnica in velocità. Può saltare l'uomo sia tecnicamente che fisicamente. Ma paradossalmente il suo punto di forza sono le tantissime cose in cui deve migliorare».

Cioè?
«Fisicamente non ha una struttura da serie A: è abbastanza alto, ma deve mettere su massa muscolare, per confrontarsi con i difensori adulti. Non è ancora così incisivo sotto porta, e non calcia ancora benissimo. E agonisticamente e mentalmente deve diventare ancora più forte».

C'è ancora tanto da lavorare, insomma.
«Per questo dico che è la sua forza. Perché lui già adesso è un giocatore di serie A. Ma se sfrutterà, continuando a lavorare con umiltà, i suoi ampi margini di miglioramento, potrà diventare un giocatore da serie A di alto livello. Uno da Roma».

Caratterialmente?
«Un ragazzo molto equilibrato, forse un po' timido. Ma la cosa bella di lui è che è rimasto sempre fedele ai suoi comportamenti: è qualche anno che si capisce che può fare qualcosa di importante, ma la cosa non lo ha cambiato. Continua a rientrare in fase difensiva dopo le azioni d'attacco, e non tutti lo fanno, quando capiscono di essere bravi. A questo punto, credo proprio che non cambierà neanche adesso, se diventerà un giocatore di A. E poi ha un altro pregio».

Quale?
«È un giocatore molto intelligente. E non è facile, per uno con quella classe. Di solito i talenti agiscono d'istinto, lui è molto bravo a ragionare e fare la scelta giusta. E a scegliere sempre la soluzione migliore per la squadra: altra cosa rara, di solito i giocatori d'estro pensano più che altro a loro stessi».

Lo ha sentito, dopo l'esordio?
«Gli ho scritto, dopo la partita. E l'ho un po' preso in giro, per quell'occasione in cui Dzeko lo ha anticipato, davanti alla porta: gli ho detto che fare il primo gol di testa sarebbe stato veramente troppo. Non è certo il suo colpo migliore. Anche se poi, in realtà, sui calci d'angolo, andava sempre a inserirsi sul primo palo, per spizzare il pallone per i compagni. In entrambe le finali scudetto che abbiamo giocato insieme, è arrivato il gol, con questa giocata. L'ho detto, lui è uno che pensa molto agli altri. Credo sia per questo, che è piaciuto a Di Francesco».

 

 

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