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La nostra linea: vendere i big ora sarebbe un grave errore

L’unico top partito a gennaio da quando la società è a gestione americana è stato Gervinho, quando arrivarono El Shaarawy e Perotti

21 Gennaio 2018 - 08:11

Nessun dorma. Prendiamo atto e se possibile allarghiamo alla squadra, in vista del fondamentale trittico di partite che l'attende, il monito (che è in parte un auspicio) espresso da Monchi ieri prima della conferenza stampa di Di Francesco. Non dorme Monchi, dunque non dorme la Roma. Ma non dormono neanche i tifosi. E di sicuro non dormiamo noi che per vocazione e per testata cerchiamo di difendere i superiori interessi della Roma (superiori perché vengono prima di ogni giocatore, di ogni allenatore, di ogni dirigente, di ogni proprietario) e dei lettori (romanisti) di questo giornale. Dunque facciamo chiarezza: un intervento di un dirigente, il più alto in grado nelle questioni di mercato, era auspicabile, persino necessario. Sentir dire dalla voce di Monchi che la Roma non smobilita, che sono più le telefonate in uscita che quelle in entrata (bravo lui evidentemente a non far trapelare alcuna indiscrezione sui reali obiettivi che sta cercando di perseguire), che comunque si chiuda questa sessione di mercato la Roma risulterà più forte, ci ha confortato.  Lo prendiamo come un impegno.

Ma sia altrettanto chiaro che in attesa di una prova contraria (a fine stagione) riteniamo un'eventuale cessione di un big (che si tratti di Nainggolan o di Dzeko) in questa finestra un errore clamoroso, oltreché un inedito anche per una società che negli anni ha movimentato un numero altissimo di giocatori. L'unico big partito a gennaio da quando la società è a gestione americana è stato Gervinho, ma la cessione avvenne nella sessione di riparazione in cui Spalletti chiese (ed ottenne) la sostituzione dell'ivoriano (che aveva chiesto di andar via dopo l'esonero di Garcia) con El Shaarawy e Perotti. Un'operazione tecnicamente e finanziariamente condivisibile.

Vendere invece oggi uno dei tre giocatori di gran rendimento e di maggior appeal (con Radja e Edin l'altro è Alisson) significa costringere la squadra ad un ridimensionamento intanto psicologico (e chissà quanti sarebbero pronti a sbandierare questo alibi se le cose stasera dovessero andar male) e quasi sicuramente anche tecnico. Mentre la cessione di Emerson, a patto ovviamente di reperire sul mercato un'alternativa a Kolarov, si può capire e persino condividere. La Roma costa più di quel che rende proprio perché chi la gestisce vuole mantenere alto il livello di competitività e dunque non lesina negli investimenti tecnici. Manca un successo, è vero, ma a volte il confine tra un successo e un insuccesso è quasi impalpabile e non può essere colpa di Monchi, Baldissoni, Gandini o Pallotta se contro il Torino quel dominio ininterrotto sul campo si è tradotto con un'altra eliminazione dalla Coppa Italia. Comprendiamo, insomma, certe necessità di trading. Ma con la cessione di Dzeko o Nainggolan, si aprirebbe un nuovo capitolo della storia che confonderebbe la squadra, prenderebbe in contropiede l'allenatore, sconcerterebbe i tifosi e darebbe nuovi argomenti a chi sbandiera il suo pregiudizievole disprezzo contro Pallotta. Si fa ancora in tempo a non commettere questo errore. Ci pensino a Trigoria.

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