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Lo strappo e la follia tra palco e realtà

Il commento di Piero Torri sulla partita del Bentegodi

11 Dicembre 2017 - 07:30

Un altro fenomeno. Da Avramov a Reina per arrivare a Sorrentino, e chissà chi sarà il prossimo. Una settimana fa cinque pappine incassate dall'Inter. Era sembrato un ex portiere che non si voleva rassegnare al fatto che si fossero spenti anche gli ultimi fuochi. Ieri, guarda un po', i fuochi si sono riattizzati. Anche se il pensiero più che ai fuochi va a una precisa parte anatomica del nostro corpo che non è il collo ma comincia per C e finisce per O. Perché quella parata a gamba alta sul tiro di Schick è qualcosa che non avevamo mai visto e mai più vedremo, zenit di una prestazione inversamente proporzionale a una carriera dignitosa ma sempre ai margini del calcio che conta.

Sarebbe però troppo semplicistico spiegare il secondo pari consecutivo in trasferta dopo una striscia di 12 viaggi da 3 punti, soltanto con la partita della vita di un dignitoso mestierante del pallone. E soprattutto non sarebbe d'aiuto alla nostra Roma che sta provando a costruirsi un grande presente per sognare un futuro ancora più importante. Oltretutto, con grande onestà, dobbiamo dire che il rischio di una delusione veronese lo temevamo più di altre volte. Per il semplice fatto che la settimana che si era appena conclusa, aveva visto la Roma troppo sul palco e immersa meno del solito nella realtà di tutti i giorni. La vittoria contro la Spal. Il successo contro il Qarabag. Il primo posto nel girone di Champions. Un sorteggio, oggi, che potrebbe regalarci ambizioni impreviste. E poi il sì definitivo alla costruzione del nostro Stadio, un sì atteso trenta anni e finalmente arrivato. Troppo. Per non lasciarsi andare, anche i più pessimisti, a un senso di onnipotenza che da queste parti ci è sempre stato fatale.

Puntuale, è arrivato il Chievo a farci ripiombare nella realtà di una Roma che deve sempre sapere che niente e mai le sarà regalato qualche cosa. Non vogliamo dire che lavoro e sacrificio non ci siano stati, ma soprattutto i primi 45', ci hanno dato l'impressione di una squadra che giocasse sapendo che, prima o dopo, avrebbe vinto la partita. Un po' come era accaduto a Torino. Alla Roma può succedere una volta, due mai. È un atteggiamento che se vinci viene lodato come cinico e concreto, se non ci riesci accade l'esatto contrario. Soprattutto tenendo conto di un problema che la squadra ha sin dall'inizio di questa stagione. La Roma fa pochi gol, tra le prime cinque è quella che ne ha realizzati di meno. Nel dopo partita, con la consueta e apprezzabile franchezza, lo ha sottolineato lo stesso Di Francesco. L'impressione è che dipenda da una considerazione che può sembrare paradossale: la Roma è fedele al lavoro e ai suoi schemi,una qualità che le ha permesso di diventare la migliore difesa del campionato ma che nello stesso tempo qualche volta la imprigiona nello svolgimento della manovra offensiva. Manca lo strappo (Salah), è limitata la follia calcistica. C'è ancora tempo per ovviare. Soprattutto adesso che è tornato Schick. Ha giocato la prima partita da titolare. Niente di che, per carità. Ma quel colpo di tacco parato da Sorrentino costituiscono lo strappo e la follia. E allora si potrà tornare a sorridere. Fino in fondo.

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