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Al botteghino da 34 anni

Il 2 maggio noi in campo non avremo uno, ma due capitani. Ad Anfield e all'Olimpico noi avremo i nostri angeli

14 Aprile 2018 - 07:11

Siamo in fila al botteghino da 34 anni per rigiocare la finale della Coppa dei Campioni, da ieri è successo che per rigiocarla devi rigiocare veramente contro il Liverpool, come se quella partita veramente non si fosse mai disputata (così ci siamo detti per tanto tempo). Perché il fatto stesso che ci sia una possibilità è come poter prolungare la serie dal dischetto, 55 secondi e 34 anni dopo. Quel dischetto è una luna eclissata, un pozzo che ieri ha trovato il suo fondo: ritirate su il pallone. Si rigioca Roma-Liverpool. Credevo che l'emozione col Barcellona non fosse superabile per molto tempo (mercoledì e giovedì sono stati gradevoli, piacevolissimi giorni di goliardici sfottò, ma niente a che vedere con quel bagno d'amore di martedì notte, niente) invece ieri è uscito il Liverpool. Liverpool. La Roma giocherà contro il Liverpool la semifinale di Coppa Campioni. (...) Fra parentesi c'è quello che non si può dire ma che tu che sei romanista sai. Senti. Hai vissuto. Hai visto. Sai. Te che ti vedevo alla fontanella al mercato di Largo degli Osci, voi che prendevate il tram e poi l'autobus alla stazione sporgendovi dai finestrini, magari col bandierone, o anche te professionista serio serissimo che mi sorprendevi perché ti scoprivo soprattutto romanista prima ancora che primario, avvocato, professore, dentista, sindacato. Voi lo sapete. Voi ieri ve sete straniti. E forse l'avete raccontato talmente tante volte che lo sanno pure i vostri figli. O forse i vostri figli lo sanno perché invece non avete detto una parola, sfuggivate il discorso, cercavate una scusa, cambiavate posto piuttosto che parlare di quella notte, di quella partita, di quel capitano. È anche così che niente è andato perso, raccontandolo e insieme custodendolo.

È uscito il Liverpool. Giocheremo Roma-Liverpool e vale una finale di Coppa dei Campioni. Sono giorni strani. È già successo un mezzo miracolo: questi giorni ci hanno stordito come a quei tempi, quando andare allo stadio era un fiume di emozione, un muro arancione di sciarpe giallorosse e di mandarini sulla pista, sole sulle bandiere, capelli lunghi, jeans, tolfe, bandane, marmo bianco e sempre sole. È successo che stiamo rigiocando una semifinale di Coppa Campioni e la cosa ti stranisce già così, ma siccome lo fai con il Liverpool la cosa ha i contorni della magia, della metempsicosi, del ritorno di Goldrake alla sua stella . È successo che un racconto, un sogno sognato è diventato sorteggio. Il mondo una pallina.
Ieri chi è romanista se ha potuto si è preso per forza un pezzo della sua giornata solo per sé, ha vagato, se ha potuto se ne è andato nel suo posto delle fragole, dove anche l'odore di una ringhiera, di un sampietrino, di un angolo di Roma gli ricordava quello che era, quello che ancora è. Ha vagato rintontonito come dopo i primi istanti del primo appuntamento andato bene. Attimi di primavera. Rincoglionimento da glicini. Sensazioni rallentante. Tempo sgranato. Antistaminici. Liverpool. Non solo devi gestire una gioia pura pura pura (pura come la Roma) di una semifinale splendida clamorosa imprevista strameritata, non solo ti alzi e ti spizzi tutto il sorteggio, ma il risultato di questa tua esperienza già extrasensoriale è il Liverpool. Il Liverpool.

Anfield. Le maglie più rosse del mondo. YNWA. La Kop. Let it be. Kevin Keegan. Dalglish, Rush (quello vero). Imagine... Ma c'è da immaginare un mondo di più di sognatori: un mondo di romanisti. Giorni surreali: la paura non è tanto di perdere, di perdere un'altra volta contro loro (no, quello è già successo nel 2001 e nel 2002) la paura è questa strana sensazione, la sensazione di una primavera, la sensazione, che diventa quasi fisica, che le cose hanno un destino, che c'è un Dio o un Divino, un disegno, un risarcimento, cioè la strana sensazione di potercela veramente fare. Questo è stordente. Questo fa paura. Questo elettrizza. Quello che commuove è invece che ci sia la possibilità stessa di rivivere tutto questo.  Boh è come se ti dicessero che poi rigioca' a nascondino senza orario per ritorna' a casa. È come ritorna' a casa. Questo Roma-Liverpool è insieme la cosa più nostalgica possibile ma anche il futuro più futuro che ci sia.

Ieri Luca Di Bartolomei sui social si è detto stanco di parlare del passato, del papà soprattutto legandolo a questa partita. Io a Luca voglio bene e pure tanto e se mi permetto di scriverlo pubblicamente è perché lui sa quanto e come è vero, quanto enorme rispetto e pudore provo ogni volta che parlo di Di Bartolomei. Gli chiedo quasi il permesso ogni volta. E mi pare il minimo. Anche adesso lo faccio, perché non chiedo a lui di parlare, ma a me stesso di dire una cosa, una soltanto: che ad Anfield e il 2 maggio noi in campo non avremo uno, ma due capitani. Ad Anfield e all'Olimpico noi avremo i nostri angeli. Avremo Dino Viola, Nils Liedholm, avremo il sorriso di quella bellissima persona che era Aldo Maldera, avremo tutti i canti cantati e inventati da Geppo, li avremo tutti quelli che stavano sul muretto. Io so che la Roma è più grande persino delle mie aspettative; j'ho sempre dato più significati di quelli che forse c'aveva, e invece c'avevo ragione a daje retta e a non lascia' il posto, la Roma è persino più grande delle nostre aspettative e delle nostre attese: sono 34 anni che siamo in fila al botteghino per rigiocare quella partita. Adesso ce n'è rimasto solo uno davanti. Tutto qui. Nessuna rivincita in fondo. Ieri un amico mi ha scritto: «Se Roma-Juventus è la rivincita della nostra anima, Roma-Liverpool cos'è?». È la nostra anima.

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