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Cogito ergo Sud - Francesco, l’ultimo tiro contro il 93

Totti calcia il suo ultimo pallone contro i suoi anni, contro Laxalt che alle 19.59 del 28 maggio ha il numero 93. Nel ’93 tutto ha avuto inizio. Era il 28 marzo. Oggi.

28 Marzo 2018 - 06:57

Vado con mio figlio a vedere Roma-Genoa. L'ultima. Bisogna portarcelo. Ne va d'insegnamenti più grandi. Col Genoa per noi romanisti è sempre l'ultima partita (anche se in verità quella volta era la penultima giornata). D'altronde chissà se questa lo è veramente l'ultima.
Gioca la Roma che vince al 90' 3-2 dopo una gara – in tono minore certo – che è sembrata quella col Lecce dell'86 perché ti dici "vabbe' mo vincemo"; "vabbe' adesso segniamo"; "ma che davvero questi stanno a gioca' così"; "ma che vonno?"; "oddio ma che veramente?"; "quanto manca?"; "quanto manca alla fine?".
Evidentemente era una domanda che ci dovevamo porre bene domenica 28 maggio 2017.
Manca il gol di Perotti. Per Totti e per la Roma, 3-2 come col Lecce che era un 20 aprile dell'86, ma stavolta nel verso giusto, 3-2 come col Torino che era il 20 aprile dell'anno prima quando Totti entrò e fece due gol in boh, un minuto suppergiù. Qui sta accadendo qualcosa di più grande. Adesso.

Francesco Totti calcia il suo ultimo pallone contro i suoi anni, tira il suo ultimo pallone contro Laxalt che alle 19.59 del 28 maggio ha il numero 93.

Il novantatré.

Laxalt il numero 93 chissà da quanto ce l'ha, chissenefrega, soltanto che in questo momento per la prima volta se ne accorge qualcuno e oggi ci ricordiamo tutti – perché non fanno che ricordartelo tutti – che nel '93 tutto ha avuto inizio. Era il 28 marzo. Oggi.

È il 28 maggio. Che anno è? Che giorno è? È sempre quello di vivere con te, pensa, soprattutto adesso che è finita, che la Bandiera sta vicino alla bandierina, sulla linea di fondo fra campo e realtà nel semicerchio della vita. Tagliavento è l'ultimo arbitro, in fondo ha il cognome giusto per un romanzo, per la tregenda, per un'epica da sogno. Per questa cosa qui. Per questo amore qui.

È finita la partita della Roma, è finito pure il campionato, ed è terminato pure tutto all'ultimo minuto. Sotto la Sud. Finisce sempre tutto lì e da lì sempre ricomincia: la Sud è il nostro centro di centrocampo e l'unico centro di gravità permanente possibile. Over and over again. Adesso che inizia? Inizia la fine? E' il 28 maggio o un nuovo 28 marzo? Davvero stiamo vedendo l'ultima di Totti? Anzi no, davvero abbiamo visto l'ultima di Totti? Che vediamo adesso? C'è da vedere o da capire qualcosa? Perché sta accadendo adesso? Che cos'è, una cerimonia? Una festa? Un funerale? Un matrimonio-triste o un funerale-allegro, citando Amleto? Essere non essere, forse sognare... Forse...

In verità ancora oggi non si sa cosa sia successo dopo Roma-Genoa. Totti non ha più il pallone ma ancora la maglia e i calzoncini della Roma, ha giocato la sua ultima partita con la Roma ma è ancora in campo. Non corre, non gioca. Cammina. Sta camminando su quel forse. È un sogno. Sta nel mezzo in un tempo sospeso che non volevamo sognare, fra essere un giocatore della Roma e non esserlo più. Può Totti essere qualcos'altro da Totti? Altro che Amleto: questa è la domanda.

Cosa è adesso tutta questa gente che ti piange intorno e si innamora? Totti tu sei la Roma, te lo ha scritto la Curva Sud prima e se lo ha scritto la Sud è vero. Ma come la Roma è "solo" Totti? No. Totti è la Roma, la Roma è anche Totti, anche Agostino, anche Ferraris IV, anche Giacomino... La Roma è questa cosa qui di enorme che sta accadendo allo stadio, quest'emozione, mentre Totti non è già più un giocatore eppure lo è ancora: la divisa è persino quella dell'anno prossimo. In questo momento di addio al passato indossa il futuro. I tempi crollano, il tempo si piega su se stesso: un pallone tirato dal 2017 al 93'.

L'anno o Laxalt o il minuto fa uguale.

Tutto è numero diceva Baudelaire nell'Olimpo, Totti è tutto dicono all'Olimpico. Avvisate Proust e qualche altro filosofo. Meglio i poeti, forse. Anche loro non bastano (lo svelerà l'ultimo artista possibile in questi tempi cupi in una lettera: Francesco Totti). Chi sta allo stadio ha gli occhi solo su quel giocatore che da sempre è stato un po' uno specchio per i romanisti: quel numero, soprattutto col font nuovo, non è mai stato solo un numero e ai romanisti è sempre sembrato più un Io. I tempi crollano. I pronomi spariscono. In questo post Roma-Genoa (ma quale? quello dell'83? Quello atteso 41 anni, l'età di Totti adesso? O questo?) c'è insieme la persona più sola al mondo e il popolo, e non si sa chi sia più solo. Non si sa chi abbia più paura.

Scion Scion, suonano Morricone: giù la testa sotto la Tevere a piangere. Scion scion la musica è finita ma i romanisti non se ne vanno. Lui sta solo come Dio.

Lui lo è stato un po' per tutti, anche per le industrie culturali che se ne sono approfittate e i nemici che lo hanno spesso e, soprattutto, volentieri, bestemmiato e che adesso sono diventati all'improvviso tutti amici (ma io non me lo scordo). Legge una lettera. A letter to... tutti.

C'è una scena più potentemente poetica di questa, di una lettera scritta di notte e vera di giorno?
Una lettera, la cosa più antica e intima possibile, letta in diretta Sky e Mediaset da un uomo che non è più un calciatore ma è solo un uomo? Cyrano avrebbe avuto delle difficoltà. Shhhh. Sta lì solo come Dio e chiede aiuto. Chiede persino il permesso, e poi il permesso di aver paura. Il gesto più forte e più fragile insieme. La sensibilità e la decisione di lasciare senza perdere niente. Perché nel Forza Roma c'è il sempre.

In quel momento in uno stadio ho visto un dio laico chiedere aiuto. L'ho visto pregare: «ho bisogno di voi». E ho sentito esaudire le preghiere: «Noi non ti lasceremo mai!». Farsi qualcosa più di uomo: con i calzoncini, tirando via l'ultimo pallone, oggi non lascia il calcio ma torna bambino.

È quello che ha la fascia al braccio. Scion scion. Su la testa adesso perché ci ha detto ti amo. Il tempo che c'è stato un giorno è tornato, questo è il giorno in cui un capitano è stato al potere e con quel potere ha detto Vi amo. Scion scion. Shhhh non disturbate, stiamo facendo l'amore. È questo che è successo. È la Roma.

È quella cosa che i romanisti c'hanno dentro e che sanno bene e non sapranno mai dire. Perché è esattamente quella cosa che ti impedisce di parlare. Esiste, accade nel momento stesso in cui tu non puoi spiegarla, perché non ne hai bisogno, in quel momento hai tutto quello che cercavi. Questa parte del mondo senza mondo chiamata Olimpico è un catino di emozioni che ribollono, è Paolo e Francesca finalmente in paradiso, sono ricordi, i più stretti, quelli nostri, quelli della strada, quelli di casa, e ce li abbiamo tutti lì: scopri che non hai perso niente, che sta tutto qui. Adesso. Per sempre.

Che abbiamo fatto bene a credere alla Roma, a essere così romanisti, a portare i nostri figli allo stadio oggi. Adesso. Sempre. Francesco se li stringe ogni tanto. Se li porta a spasso. Se li tiene in braccio. Nel giorno dell'addio senza addio (secondo voi una storia simile finisce??? Ma davvero avete pensato questo?), Francesco Totti è soprattutto un papà. Come i romanisti che stanno in Sud o in tribuna. O in cielo.

È come se voi normali, voi umani borghesi, voi critici personaggi austeri, voi non romanisti, vi ritrovaste insieme nello stesso momento, nello stesso spazio, i giochi più belli dell'infanzia, gli amichetti delle elementari, quegli odori di detersivo della mamma, e le merendine di quand'eravate bambini che non torneranno più e che invece adesso state per riscartare; i capodanni tutti insieme, i primi appuntamenti, le albe, le speranze, le vacanze. Le canzoni ascoltate una vita e dimenticate. I posti delle fragole tenuti nascosti alle cartoline ma impressi in fondo all'anima. Scion scion, un flashback presente, la nostalgia di un futuro non ancora accaduto. La vita, la Roma.

Fatta anche di addii e di separazioni, di sogni, e di emozioni. La vita, la Roma. La vita, la Roma.
Diceva Agostino Di Bartolomei che esistono i tifosi di calcio e poi ci sono i tifosi della Roma; io dico che c'è il Calcio e che c'è la Roma. Si può lasciare il calcio, ma come fai a lasciare la Roma? Non si smette mai di essere romanisti. Lo si è in questo abbraccio con mio figlio (nel mio come in quello di qualsiasi altro padre), mentre gli urlo "Forza Roma" perché lui ha già imparato che si risponde "Sempre". Così non ci si separa mai. Così non finisce mai.

Oggi è di nuovo un 28 marzo.

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