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Imparate la Roma

Prendete Francesco Rocca e dategli panchina e scrivania. Noi volevamo la Coppa Italia, non il quarto posto. Noi volevamo sognare, noi volevamo almeno provarci

31 Gennaio 2019 - 07:30

Non fare nulla dopo quello che è successo appellandosi retoricamente alla freddezza e alla lucidità è quasi più grave di quello che è accaduto in campo. Perché dopo un 7-1 se sei della Roma e pure se sei il capo del mondo e c'hai tutte le responsabilità sono proprio la freddezza e la razionalità a doverti far dire basta. Dopo un 7-1 così non ci sono altri gesti da fare che le dimissioni o l'esonero, le dimissioni del tecnico e se lui non se ne va l'esonero. E visto che Monchi dice che il primo in discussione è lui, anche le sue dimissioni. Almeno il gesto. Almeno. Che sarebbe comunque poco rispetto a quello che hanno subito i tifosi della Roma ieri in tribuna e a casa, e quello che hanno passato stanotte e quello che stanno provando oggi.

Ma voi lo sapete? No. No perché un 7-1 dalla Fiorentina è un punto di non ritorno e allora non puoi nemmeno lontanamente parlare di «per fortuna il calcio ti dà la possibilità di rifarti», non puoi nemmeno soltanto chiedere scusa, non puoi rimandare tutto a domani. Le scuse non bastano. Domani se non fai niente è ancora ieri. E noi ieri non ce lo meritiamo. Non lo vogliamo. Non ci sono più altre possibilità, ci può e ci deve essere un'altra storia, un'altra pagina, un altro mondo ma nessuna possibilità dopo ieri. Noi volevamo la Coppa Italia, non il quarto posto. Noi volevamo sognare, non vergognarci. Noi volevamo almeno provarci. La Roma è una prova, una prova d'amore, una prova di vita, a noi interessa quello, ma sembra che questo non interessi a Trigoria. Non c'è il senso della Roma. Non si sanno le cose della Roma.

Te, per esempio, a Simeone lo devi stende, gli devi fare fallo pure se è l'ultimo minuto e pure se stai perdendo già 6-1, anzi proprio perché è l'ultimo minuto e proprio perché il punteggio è quello lì, che devi impedire con tutto te stesso di prenderne un altro. Perché evidentemente non hanno detto loro che per i tifosi della Roma questo risultato è simbolico, perché loro non conoscono la forza dei simboli. Dei gesti. Degli atti. Del cuore. La Roma. La Roma può perdere, la Roma può perdere anche male, chi vi scrive non ha mai chiesto vittorie a tutti i costi, chi vi scrive ha sempre apprezzato gli sforzi, ma la Roma non può rinunciare a se stessa così. E se capita si interviene, ma senza nessuna prosecuzione.

Ieri i tifosi della Roma hanno smesso di cantare sul 6-1. Fino a quel momento hanno cantato. Cantato. Erano 2.500 di mercoledì pomeriggio sotto l'acqua e il freddo. Le loro facce incredule non dicevano altro che il loro essere della Roma nudo e senza difese rispetto a tutto quello che stava capitando. Altro che fiori che sbocciano alle pendici dei vulcani. È dal primo tempo di Roma-Atalanta di agosto che la Roma non è una squadra, che non ha un'anima, e niente. È che si è passati attraverso Milan, Chievo, Bologna, Spal, Udinese, Cagliari, Plzen, un'altra Atalanta per un altro 3-3 che ti ha raccontato la perfetta simmetria e circolarità del tuo fallimento stagionale. Ma niente. E noi romanisti con la speranza a dirci «vabbè adesso ne escono», «vabbè abbiamo vinto 5 partite su 6», «vabbè»... Ma noi siamo innamorati, noi ci nutriamo con la speranza e ci crediamo a prescindere, a voi è mancata proprio quella razionalità che pure ieri non vi ha fatto prendere decisioni. Il delitto è che oggi non c'è speranza.

L'amore per la Roma resta, anzi è pure più grande, ma per la Roma, e la Roma ieri stava a Firenze solo nel settore. O a casa. Nei messaggi di persone che non si sentivano nemmeno più. Nello «sto a pezzi», «ma perché?», nell'impossibilità di trovare qualcosa di confortante da guardare in quelle facce incredule e senza parole con i canti rimasti incastrati nel cuore. Nella lunghissima dura giornata che è iniziata ieri e chissà per quanti giorni durerà, di cercare di elaborare e superare pure questo risultato di merda qua, di andare oltre, di far vincere ancora e sempre il nostro amore. Il nostro. La Roma è un amore, la capite come si deve trattare? Prendete Francesco Rocca e dategli panchina e scrivania. Soldi o non soldi, allenatori top o meno disponibili sul mercato, per come sta la Roma adesso rappresenta comunque una prima scelta: incarna i valori della Roma. Rappresenta tutta quell'enorme dignità che ha chi ama a senso unico e non è ricambiato, quella di chi ama senza tornaconto di un amore incondizionato. Di chi ha corso, di chi ha sognato, di chi ci ha rimesso una gamba, di chi si mette l'abito elegante per andare a vedere la Roma in segno di rispetto allo stadio come è successo prima di Roma-Real. C'è quasi la tenerezza di un bambino in questo gesto. C'è il nostro sentimento.

Perché è ancora vero quello che ha detto De Rossi dopo la notte col Barcellona: "Io sono orgoglioso della Roma non solo oggi ma pure quando perdiamo 7-1". Oh sì è vero, non me la dovete proprio toccare la Roma. Sapeste quanto je vojo bene alla Roma mia oggi... ma alla Roma, non a chi non sa cos'è.

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