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La partita simbolo, la Roma fa tremare il regno del male

Contro la Juve la sfida che vuol dire “no” a ingiustizie e arroganza. Nel 1941 la cavalcata scudetto passa per il 2-0. Ma è anche una lotta contro il potere

13 Maggio 2018 - 11:05

Se "vincere è l'unica cosa che conta", diseducativo messaggio che viene da un bel po' di tempo diffuso attraverso qualsiasi manifestazione juventina, appare evidente come probabilmente nessuna tifoseria italiana abbia avuto più delusioni di quella bianconera. Non è tanto logico, è addirittura matematico. Per quanto la bacheca possa essere zeppa di trofei, infatti, sono comunque molte di più le volte in cui non ha vinto, piuttosto che quelle in cui ha vinto. Prendiamo in considerazione, ad esempio, solo i campionati: in 121 anni di storia, ne ha vinti 33. Quindi per 88 volte il campionato è stata una delusione fortissima. Nessun'altra tifoseria ha avuto 88 anni di delusioni. Se c'è una realtà che potrebbe, a ragione, invocare il "Mai ‘na gioia", è proprio la Juventus. Paradosso? Neanche tanto, se ci pensate bene. E soprattutto se pensate anche a ciò che significa e che ha significato la sfida tra la Juventus e la Roma, cioè tutto il suo opposto. E quante gioie ci ha regalato questa sfida, quante volte si è portata dietro significati che andavano anche oltre il risultato del campo. (Non «sul campo», quella ormai è terminologia loro…).

Roma-Juventus è una sfida attraverso la quale devi sempre passare, per vincere. Nell'anno del suo primo scudetto, la Roma diventa prima in classifica da sola alla terza giornata, proprio grazie a un netto 2-0 ottenuto il 9 novembre 1941 in uno Stadio Nazionale gremito. Almeno tremila tifosi, riportano le cronache dell'epoca, pur avendo il biglietto, rimangono fuori per l'impossibilità materiale di entrare nell'impianto. «Non è la prima volta che la Juventus perde a Roma – scrive Pietro Garinei sulla Gazzetta dello Sport – ma la partita di oggi trova la sua sorella gemella solo in quella lontana, ma vicina nei ricordi giallorossi, che terminò 5-0 a Testaccio. La Roma avrebbe potuto vincere anche con quattro o cinque reti di scarto». Un dominio, quindi, che va ben oltre le due reti di Krieziu e Pantò.

Roma-Juventus significa dire no alle ingiustizie. Probabilmente non c'è stata Roma-Juve, comprese quelle in cui ci si giocava lo scudetto, che loro avrebbero voluto vincere più di quella del 15 novembre 1998. Era il primo "incontro" dopo la famosa intervista estiva di Zeman, che aveva parlato di «doping e uffici finanziari» come mali del calcio, e su entrambe le cose il tempo gli diede ragione (basta leggere i fatti e le sentenze, in fondo). E invece l'hanno persa. 2-0, magia di Totti che imbecca Paulo Sergio alla fine del primo tempo, finta di sopracciglio di Candela che manda per terra Peruzzi e poi segna il raddoppio nel finale. Nel mezzo, un palo di Fonseca, tante altre occasioni, una bella partita, un pugno di Montero che manda Paulo Sergio in farmacia, ma solo per curarsi, e il difensore juventino negli spogliatoi anzitempo. C'era Valerio Mastandrea che per la felicità si era perso il motorino e non sapeva come tornare. C'erano, in tribuna, più neri che bianchi, Moggi, Lippi (squalificato) e Bettega, che di nascosto trasmetteva le informazioni a Pezzotti, vice di Lippi, che stava in panchina. Zeman gettò la cicca dopo il gol del 2-0 ed ebbe lo stile di non riferire che cosa gli disse, incrociandolo, Ciro Ferrara.

Zeman è il nipote di Čestmír Vycpálek, che era stato allenatore della Juve, e veniva accusato di parlar male della Juve solo perché non riusciva a lavorarci. «Proprio perché mio zio ha lavorato lì – rispondeva – so come funziona». Funzionava così: il 28 marzo 1971 Roma e Juve pareggiano, la squadra giallorossa prende tre pali e si vede negato un rigore per un fallo di mano di Capello (a proposito…) in area. «Meritavamo di vincere», disse Herrera, allenatore della Roma. «Era involontario», disse Vycpálek, allenatore della Juve. Roma-Juve è sempre stato andare contro l'arroganza. «Ti consiglio di non superare questa linea», disse Santarini a Bettega, esasperato per il suo comportamento. Bettega girò al largo e la Roma vinse 1-0. È un altro modo per dire «A Mumo, nun ce riprovà, sinnò a Torino torni rotto», come fece Attilio Ferraris IV verso Orsi. «Arbitro, perché a Boniperti dà del lei e a me del tu?» si chiedeva sempre Giacomo Losi quando li incontrava. «Zitti, 4 e a casa», la risolse così Totti, diventando icona di mezza Italia, quella antijuventina, in un colpo solo. Una volta ci pensò un cane lupo a vendicarsi di Sergio Brio, autore di un gol che fece calare il gelo sull'Olimpico. Zibì Boniek una volta lo sberleffo lo fece addirittura in anticipo. «Tanto domani è facile», disse durante "Fantastico" a Pippo Baudo (juventino) che gli diceva di non fare tardi. Era sabato sera, il giorno dopo c'era Roma-Juve e Boniek era ospite insieme a Platini, Cabrini e Conti. Doveva andare alla Roma molto prima, ma la Juve fece di tutto per strapparcelo e ci riuscì. Storia simile a quella di Thomas Haessler. «Giocherà nella Roma», aveva annunciato Rudi Voeller nel 1989, proprio prima di un bellissimo Roma-Juve giocato al Flaminio e vinto 1-0 con un colpo di testa di Ciccio Desideri (uno che segnava spesso alla Juve... un grande romanista). Sì, ci giocherà, ma solo nel 1991 e dopo aver fatto un anno alla Juve. Segnerà contro la Juve nel 1992-93, completando una rimonta entusiasmante: 0-1, Baggio. 1-1, Giannini, 2-1, Haessler.

Boniek, che alla Juve ha sempre preferito la Roma, non segnerà mai contro i bianconeri, ma quel giorno del 1986 fece gol con le parole da Pippo Baudo. Aveva ragione lui: il giorno dopo Roma-Juve finisce 3-0, con gol annullato a Platini e rigore sbagliato da Serena. Segna pure Desideri. Tre a zero, come altre volte in passato, come l'anno prima, con lo stadio colorato di giallorosso. Coreografia richiamata anche il 5 settembre 1993, sempre con fasce gialle e rosse a rivestire l'Olimpico e lì addirittura i rigori sbagliati furono due: Baggio e Vialli, che si rompe anche un piede mentre calcia. Eppure, Moeller pochi minuti dopo pareggia lo stesso. Ma a 8 minuti dalla fine Roberto Muzzi segna il gol di una vittoria tanto bella quanto insperata. Il gol del vantaggio l'aveva segnato Balbo, il suo primo in giallorosso. Di testa sotto la Sud, come Dzeko il 30 settembre 2015, un'altra vittoria per 2-1 in una partita iniziata con un netto rigore non concesso alla Roma per un fallo subito da Florenzi in area.

Roma-Juve è spesso un inizio: il 30 gennaio 1977 un altro calciatore segna il suo primo gol con la maglia della Roma, anzi, il suo primo in assoluto da professionista. Si chiama Bruno Conti, dribbla mezza Juve, mette in mezzo, dove Prati è bravissimo a fare velo per mettere fuori causa Zoff. La Roma vince 3-1 ed è l'unica squadra di quel campionato a battere sia il Torino sia la Juve, che se lo giocheranno fino all'ultima giornata (con la Juve che lo vincerà grazie a un paio di aiuti arbitrali, vabbè). Già, Roma-Juventus è spesso una bella sorpresa. Il 30 aprile 1950, la Juventus è la squadra del momento e si avvia a vincere il primo di cinque scudetti consecutivi, peraltro in trasferta non ha mai perso. Viene a Roma, con i giallorossi che invece sono terz'ultimi e rischiano la B, dopo il ko interno col Como. In settimana era avvenuto un episodio senza precedenti né seguiti. Una delegazione di calciatori guidata da Maestrelli e Andreoli era intervenuta durante il consiglio direttivo per far sapere di essere tutti dalla parte dell'allenatore e di essere contrari al suo esonero, argomento all'ordine del giorno. Quell'allenatore era Fulvio Bernardini, che viene confermato e porta la squadra in ritiro a Fregene. La partita è incredibile. Dopo pochi minuti segna Zecca, poi è solo Juve: Hansen prende il palo, Risorti effettua grandi parate, Pesaola si fa male, Contin anche, in pratica la Roma chiude in nove. Ma resiste e vince 1-0. «Al fischio finale – scrive Vittorio Pozzo – il pubblico variopinto per la foggia dei berretti dai colori sociali messi in mostra, che aveva incitato la propria squadra a perdifiato e fatto, specie in sul finire, un tifo da non si può dire. Ora si sfoga...".

Roma-Juventus è uno sfogo. Francisco Ramon Lojacono sfogò tutta la sua rabbia per essersi fatto male e ritrovarsi costretto a giocare la partita con la fasciatura al braccio segnando un calcio di punizione il 27 novembre 1960: Roma-Juventus 2-1, Roma prima in classifica. «L'infortunio a Lojacono è stato un vantaggio per la Roma» diranno, con malcelato "rosicamento" i giocatori della Juve a fine partita. Ha segnato col braccio rotto. Altro che Beckenbauer. Da Costa si aggrappò alla traversa, il 19 novembre 1958, per sfogare la sua gioia. Aveva segnato uno dei quattro gol di Roma-Juventus 4-1, gli altri due erano di Griffith e Lojodice (doppietta), davanti a 85mila spettatori. Così sfogò la sua gioia. Roma-Juventus è sempre una gioia, per il semplice fatto che noi ne abbiamo più di loro. Anche quella dello scorso anno lo fu: festa scudetto apparecchiata e "rovinata" dai gol di De Rossi, El Shaarawy e Nainggolan. Anche domani ci sarà la festa scudetto apparecchiata. Hai visto mai...

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