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Katia Serra: «L'unica soluzione è la Figc. La Roma può arrivare tra le prime quattro»

Oggi il secondo summit tra Federazione e LND, abbiamo intervistato la responsabile AIC: «L’obiettivo nel breve periodo è la professionalizzazione»

10 Agosto 2018 - 06:34

Il calcio femminile è in una fase cruciale della sua storia. Oggi avrà luogo il secondo incontro tra LND e Figc per decidere a chi sarà assegnata l'organizzazione della Serie A e B. Il rischio però è ancora quello che la stagione non prenda il via entro i termini stabiliti. Katia Serra, responsabile dell'Assocalciatori per il settore dice la sua a il Romanista.

Il contenzioso tra LND e Figc rischia di bloccare un movimento in evidente crescita.
«È una guerra di potere, le calciatrici non c'entrano nulla. Hanno capito che il calcio femminile ora è appetibile e stanno lottando per trarne dei vantaggi».

Oggi tu sarai presente al secondo summit in Federazione per discutere del futuro del movimento. In poche parole, perché LND no e Figc sì?
«Ambiamo a una crescita che i Dilettanti non ci possono offrire. Nell'ottobre 2015 le calciatrici protestarono ed ottennero qualche risultato. Questa volta però, c'è unità di intenti anche con le società e gli allenatori. Non credo neanche in un dialogo che porti a un'organizzazione congiunta, sarebbe un "pastrocchio all'italiana". L'obiettivo a breve termine è quello di ottenere una professionalizzazione, non subito il professionismo. Quindi l'unica soluzione è la Figc».

Perché allora arrestare un movimento che ha già dato delle soddisfazioni come la qualificazione al Mondiale?
«La verità è che non si crede appieno nel calcio femminile. Bisogna evitare le logiche di scambio che si stanno creando e si devono superare barriere culturali che purtroppo sono molto pesanti. Una donna che sceglie di giocare a calcio non è fuori dal comune: siamo donne, mamme, atlete che coltivano una passione. Questi sono aspetti difficili da affrontare e qui, spesso, è più facile tendere a conservare lo status quo, piuttosto che innovare per rompere un equilibrio».

Quanto conta, in un'ottica di progresso, l'affiliazione alle società maschili?
«È fondamentale. Io nel 2009/10 sono andata a giocare in Spagna, nel Levante e lì ho capito tutto. Lì potevo dire "sono una calciatrice" e vivere di quello. Da due anni a questa parte le società come la Roma hanno capito che questo porta vantaggi a loro e alle atlete, sotto tantissimi punti di vista. Solo così si può mettere una base di qualità per il futuro ed essere competitivi a livello internazionale».

Hai citato la Roma. Conosci il progetto giallorosso e chi ne fa parte?
«Conosco tutte le ragazze. Stimo profondamente Betty (Bavagnoli, l'allenatrice ndr), so che la Piemonte ha giocato in Spagna come me e ha grandi margini di crescita e poi c'è "Ringhio" Bartoli. Lei è una garanzia di grinta, una che non molla mai. La Roma è già molto competitiva, dopo il lavoro fatto fino ad ora per me può ambire ad arrivare nelle prime 4. Ci sono ottimi presupposti per un futuro solido».

Cosa può insegnare il Calcio Femminile a quello maschile e viceversa?
«Le donne non mollano mai. Si punta molto più sul collettivo che sulle individualità e, per esempio, si protesta molto meno con gli arbitri. C'è una dimensione più sportiva rispetto a quella del business, cosa che negli uomini si sta invertendo. Dall'altra parte però le donne possono apprendere molto dall'esperienza maschile, da tutte quelle figure professionali che sono matrice di competenza e qualità. Quella qualità che poi ti fa rispettare, come donna e come calciatrice».

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