ASCOLTA LA RADIO RADIO  

Vincenzo Romano: "Ho esordito con l'Avellino ma tifo Roma. Il Barone era il top"

Roma e Avellino rappresentano due tappe importanti nella carriera di Vincenzo Romano: "Sono rimasto solo un anno per colpa mia. Liedholm mi apprezzava molto"

20 Luglio 2018 - 16:02

L'Avellino gli ha regalato l'esordio in Serie A, la Roma gli ha offerto l'occasione della vita. Nella carriera di Vincenzo Romano i biancoverdi e i giallorossi rappresentano due momenti importanti, diversi tra loro, esaltanti entrambi. Il difensore nato a Capaccio Scalo nel 1956, mostratosi al grande calcio nelle due stagioni trascorse con la maglia dei lupi irpini, fu acquistato dalla Roma nell'estate del 1980: in giallorosso disputò soltanto una stagione, chiusa al secondo posto dietro alla Juve, poi si perse un po' per strada senza ricevere dalla propria carriera quello che forse avrebbe meritato considerando le sue qualità.

Cosa rappresenta per lei Avellino?
«Tantissimo. Con i biancoverdi ho esordito in serie A, ricordo quel giorno come se fosse ieri. Entrai nella ripresa della gara di San Siro contro il Milan, e stiamo parlando del Milan che vinse lo Scudetto, ero molto emozionato, non mi sembrava vero. Poi con il passare dei minuti la tensione lasciò spazio alla voglia di far bene. Ricordo che quando Rino Marchesi mi disse di scaldarmi per entrare, quasi non ci credevo. Perdemmo 1-0, segnò Buriani. Ma giocammo una grande partita, la mia prima in erie A. La notte non riuscii a dormire: ero ancora emozionato».

Chi ricorda in particolare di quella squadra?
«Ero molto legato ad Andrea Carnevale, lui era un ragazzo della Primavera ma praticamente era sempre con noi, aveva già molta qualità. Stavamo spesso insieme, veniva a casa mia, eravamo amici. Ho un grande ricordo anche di Marchesi: era un bravo allenatore e poi mi diede fiducia».

L'Avellino adesso non sta attraversando un periodo felice a livello societario...
«E di questo me ne dispiace davvero molto. Sono rimasto legato ai colori biancoverdi, alla gente: sono stato bene lì, negli anni successivi ci sono anche tornato. Purtroppo il calcio di oggi va gestito in maniera diversa rispetto ad una volta, gli interessi sono molti di più, è sicuramente più difficile controllare certe situazioni. Spero che l'Avellino possa risolvere i suoi problemi e disputare il prossimo campionato di Serie B. Sarebbe un peccato se non fosse così. Una piazza come quella irpina merita tanto».

Ora parliamo di Roma...
«Le due stagioni giocate ad Avellino mi valsero la chiamata della società giallorossa. Purtroppo sono rimasto alla Roma soltanto una stagione, per colpa mia».

Cosa vuol dire per colpa sua?
«Ero molto giovane».

Continuiamo a non capire...
«Pensavo troppo ad uscire e poco al calcio. Ero giovane e immaturo purtroppo. Liedholm aveva molta considerazione di me, mi apprezzava: in campo mi facevo valere, ma la sera facevo tardi. Arrivavo dalla provincia e la Capitale offriva tanti divertimenti. Mi piaceva la vita notturna».

Il Barone sapeva questo?
«Certo. Ricordo però che mi riprendeva sempre in maniera elegante, sfruttando la sua ironia unica: non me lo faceva pesare eccessivamente. Mi diceva: "Enzo so che sei uscito ieri sera, A me non interessa, ma vediamo adesso cosa fai in campo. Se non fai bene sono cavoli tuoi". A volte scherzava anche quando mi chiedeva a che ora fossi andato a dormire: «Alle tre? Troppo presto, ti avevo detto che potevi fare le cinque". Lui era così».

Se potesse tornare indietro?
«Sicuramente non rifarei tutto dal punto di vista della vita notturna. Però ci tengo a rimarcare che in campo ho sempre dato tutto per i colori giallorossi. Sono stato benissimo, ho ricordi fantastici, mai nella mia carriera ho trovato tifosi eccezionali come quelli della Roma: il popolo romanista ti entra dentro».

Il suo fu un campionato importante?
«Certamente. Arrivammo secondi dietro alla Juve ma senza quel gol annullato a Turone sarebbe finita in maniera diversa. Eravamo una grande squadra, formata da tanti campioni. Il più forte, secondo me, era Bruno Conti: faceva cose eccezionali. Poi naturalmente Falcao era Falcao. Poi l'allenatore era il top: il Barone era unico in tutto quello che faceva dentro e fuori dal campo».

A fine stagione lasciò la Roma perché usciva troppo la sera?
«La Roma mi cedette al Genoa scambiandomi con Nela. Sebino era una grande giocatore. Io andai in un club comunque importante, sicuramente non come la Roma. Ma quella stagione mi bastò per innamorarmi della squadra giallorossa e del popolo romanista. Sono un tifoso giallorosso e lo sarò per sempre».

© RIPRODUZIONE RISERVATA