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La lettera di Mario Stagliano: "Io c'ero per mia figlia e mia nipote"

L'avvocato ed esperto di diritto sportivo Mario Stagliano, ci ha raccontato con una lettera il "suo" emozionante Roma-Shakhtar Donetsk, ma non solo

15 Marzo 2018 - 15:53

Io c'ero. Quell'8 dicembre del 1982, con un cielo talmente nero da costringere ad accendere i riflettori alle 14.30, sotto una pioggia incessante, ero tra i settantamila che fecero esplodere il più grande boato che si sia mai sentito in uno stadio. Tornato a casa, con ancora negli occhi lo stop ed il tiro del Divino, appresi che sarei diventato padre. Cosa che interessa solo me? Forse, ma un senso c'è. C'ero anche il 25 aprile del 1984, sotto un sole che ti scioglieva. Quel giorno, tornando a casa praticamente sollevato da terra, a mia figlia, che aveva nove mesi, raccontai di Pruzzo, di Ago, del gol ingiustamente annullato a Brunetto, di come Maldera avesse difeso il nostro instancabile furetto, prendendosi un'ammonizione che avremmo pagato amaramente. La cosa folle è che ebbi la netta sensazione di essere compreso da una bimba piccolissima, perché la pazzia si percepisce sin da quando si è in fasce. Non interessa a nessuno? Lassa' fa. È vero, c'ero anche in tutte le altre date nefaste della nostra storia, quelle del "mai 'na gioia", ma di queste non mi interessa, perché nelle grandi passioni si ricordano solo i momenti esaltanti, quelli negativi si seppelliscono nel dimenticatoio; come canta il Liga, le "ho messe via".

Il 13 marzo 2018 sono tornato. Con un cuore malandato che forse non lo permetterebbe ho deciso di esserci, perché per la Roma si può anche morire e sarebbe uno splendido modo di salutare definitivamente. D'altro canto lo dovevo a due amici conduttori radiofonici, agli amici con cui divido spesso la trasmissione televisiva che mi ospita. A loro, con una spavalderia tipica di noi romanisti abituati a non vincere nulla, avevo garantito che la sola mia presenza avrebbe garantito il passaggio del turno, come era avvenuto col Colonia, come era avvenuto col Dundee. Principalmente, però, lo dovevo a mia figlia, stavolta, come spesso avvenuto negli ultimi trent'anni, al mio fianco a tifare. Perché stavolta, dentro di lei, c'era anche mia nipote e la nascitura avrà percepito l'abbraccio che ci siamo scambiati al triplice fischio ed avrà visto le lacrime di un nonno pazzo scatenato. Chiedo scusa a quelli che si sono annoiati leggendo queste poche righe, ma mi è piaciuto sottolineare come abbia creato due generazioni di romaniste e quando non ci sarò, sarò orgoglioso di avere portato un piccolissimo tassello alla causa giallorossa. 

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