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Dr Dzeko e Mr Hyde: parla lo psicologo dello sport Panella

L'analisi su squadra e singoli: «Il blocco è soprattutto mentale. La Roma è con il tecnico. Edin e Perotti volti umani: non bisogna “stressare” i giocatori»

07 Marzo 2018 - 07:30

Succedono cose strane nel calcio, così come nella vita. Succede che una Roma in crisi - ancora qualcuno non se lo spiega - va a vincere a Napoli contro la capolista, una specie di Barcellona d'Italia per alcuni, una squadra con un organico non superiore a quella allenata da Di Francesco, per altri. Succede che, ancora oggi, in pochi giurano che la crisi della Roma sia alle spalle, non tanto per scarsa fiducia, quanto perché dati alla mano questa squadra ha dimostrato di essere se stessa e il suo contrario a distanza di pochi giorni, macché giorni, minuti. Dottor Jekyll e Mister Hyde. Un grattacapo, una doppia faccia che si fa fatica a comprendere e ad analizzare.

Problema fisico o mentale

«La squadra è questa, i valori tecnici sono questi. Al di là del rendimento e dello stato dei singoli, ciò che cambia sono soprattutto gli aspetti di gruppo e psicologici, ai quali sono legati, ma assolutamente secondariamente, quelli fisici», ci spiega il dottor Gianluca Panella, psicologo dello sport della ASD Dreaming Football Academy. Aspetti sui quali «Di Francesco si è impegnato molto, è palpabile in ogni sua uscita pubblica», e ne ha tratto anche risultati. «Perché la squadra è decisamente dalla sua parte e lavora con cognizione di causa». Che il blackout sia mentale e non fisico «spiega la gestione di un tempo - primo o secondo indifferentemente - così diverso dall'altro, o la gestione del vantaggio maturato, vedi Shakhtar-Roma, che a volte è "sporcato" da un episodio (la mezza rovesciata di Florenzi che spiana la strada a Ferreyra)».

I giocatori non sono robot

Tutti con DiFra. È quanto emerge anche dalle dichiarazioni dei giocatori, che troppo spesso vengono considerati delle macchine, ma che hanno invece anche risvolti umani: «Le dichiarazioni di Dzeko e Perotti dopo la gara di Napoli sono emblematiche. Sono sintomo innanzi tutto di un'insofferenza per quelle che sono le pressioni o gli stress (ansia da prestazione) a cui sono sottoposti. Ci mancherebbe, sono professionisti e devono gestire questi momenti, ma sono esseri umani. Quando Dzeko "rinfaccia" che a Napoli avrebbero dovuto perdere 5-0 secondo molti è significativo anche di una reazione. Se Perotti chiarisce che non dorme quando perde o non parla con la moglie e non gioca col figlio è un segnale che il giocatore sta "verbalizzando" i suoi disagi». Ed è bene farlo, specialmente nella quotidianità, strutturalmente: «Bisognerebbe parlare spesso con i giocatori, far tirar fuori loro le emozioni che necessariamente accumulano, per prevenire quelli che sono dei periodi, più o meno lunghi, di blackout». Che poi è il lavoro dello psicologo dello sport, utile soprattutto «per coltivare giorno dopo giorno la fiducia».

Come arriva la fiducia

Ecco, fiducia. Sembra una parola magica, se n'è parlato spesso in questa stagione a proposito della Roma. «Non arriva, o si perde, per caso, ma anche e soprattutto, appunto, per episodi: la grande prestazione di Napoli è stata costruita sicuramente da una reazione al gol subito e da un gol ben confezionato, quello di Ünder, ma anche un po' fortunoso. Che però ha dato fiducia». Il turco nella crisi della squadra ha avuto un po' il ruolo del "marziano", parlava un'altra lingua ma sapeva segnare e ha iniettato nuova linfa al gruppo: «Bisogna rimanere cauti su Cengiz - secondo Panella - vista la giovane età e il margine di miglioramento che ha. Va gestito e mi pare che Di Francesco stia lavorando bene con lui. Ha personalità e questo già è un buon punto di partenza. Ha dimostrato che i gol segnati non erano casuali, è stato una ventata d'aria fresca e ha rappresentato una forma di stimolo anche per i big. Un traino».

Dottor Dzeko

E di fiducia, adesso, ne ha ritrovata anche Edin Dzeko, al quale non si perde occasione da più parti - e senza chiedersi se sia più o meno controproducente - di ricordare che deve essere più cattivo: «Lui ha determinate caratteristiche, eviterei di stare sempre a rimarcare che può incidere di più, o meglio. Parlerei con lui di altro. A Napoli fa due gol straordinari. Nel primo si vede il gruppo, l'azione collettiva in mano al grande finalizzatore, il secondo è l'individualità». Gol che serviranno forse (d'obbligo) a sbloccare la Roma definitivamente: «È una partita che può rappresentare una molla, ma ci vuole un lavoro di equilibrio importante, che sono sicuro Di Francesco cercherà di intraprendere. Solo attraverso questo percorso e senza "stressare" tutti troppo i giocatori - da dentro e da fuori Trigoria - si può arrivare a essere continui». Va ridotta la pretesa per aumentare le probabilità di un risultato. È un po' quello che è successo con il gol di Dybala al 93', «magari anche inconsciamente. Non è più il calcio di una volta, lo spezzatino condiziona sicuramente e quel gol ha fatto le fortune della Roma che si è liberata psicologicamente in una partita sulla carta durissima e le sfortune del Napoli, che ha invece sentito a distanza il fiato del diretto avversario per il titolo più forte».

Gli occhi di Astori

Succedono cose strane, nel calcio come nella vita. Ed è quello che torna alla mente quando a Udine, tra il pallone e il cuore, una domenica mattina come le altre, nel ritiro della Fiorentina viene trovato senza vita a trentun'anni il capitano dei viola ed ex romanista, Davide Astori, per cause naturali. Non sono dei robot, non sono degli eroi, neanche loro che sono belli e ricchi. Più di qualcuno non se lo spiega, e quasi tutti lo trovano incredibile: «Una vicenda che colpisce innanzi tutto guardando gli occhi di questo ragazzo, puliti e sempre pronti a regalare un sorriso a tutti. Innanzi tutto alla sua famiglia, che diventa il primo pensiero, ovviamente, ma si vede che ha dispensato del bene in tutto il mondo del calcio». E ne è testimonianza il fiume di messaggi tutt'altro che di circostanza di amici e colleghi: «Chi ha condiviso con lui momenti di vita non può che reagire male, i casi dei malori di Lopez e Sanchez sono assolutamente "normali" - afferma Panella -. Se ne va, poi, un capitano, uno che aveva responsabilità, di prendere la parola e di stimolare il gruppo. Nel caso di Astori non era stato scelto il giocatore più forte, ma l'uomo. Un capitano d'altri tempi». E a proposito di tempi, sarà un lavoro, se non altro faticoso, per la Fiorentina, ricominciare: «Per proteggere il livello emotivo dei giocatori, perché del calcio in questo senso non ci interessa nulla, non importa se giocano con il Benevento, io chiederei anche un altro turno di stop per la squadra. Sarebbe anche rispettoso. Il lutto è un trauma e riunire i pezzi subito è impossibile. In questo mondo del calcio, e non solo, dove tutti vanno veloci e stanno appresso ai calendari, alle prestazioni, io rimetterei al centro le persone, bisogna fermarsi in questo momento».

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