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I leoni di Stamford Bridge: «Questa Roma vincerà»

La carica dei romanisti presenti a Londra. La Shed End o la Sud, fate voi. Per ricordare ai muti suppoters inglesi come si tifa

20 Ottobre 2017 - 12:25

I Placebo cantavano "Siamo forti come l'a m o re" nell'omonimo album pubblicato anni or sono. "Loud" che però potrebbe esser facilmente tradotto come "rumoroso". Rumoroso come un amore capace di manifestarsi in tutta la sua potenza lontano da casa, ma vicino all'amata. Quell'incessante battito di cuori all'unisono che ha preso in braccio con premura di madre una Roma in immeritata difficoltà,trascinandola con canti capaci di squarciare il tetro cielo sopra di essa fino ad un'impresa a metà. Perché la Roma meritava di vincere a Stamford Bridge, perché la Roma ha surclassato la corazzata di Conte dimostrando quanto i giudizi dopo la sconfitta con il Napoli fossero dettati più dalla delusione di alcuni o dall'irrefrenabile voglia di darle addosso, di issare al cielo la bandiera del "velavevodetto". Perché i tifosi della Roma hanno vinto. Punto.

Tutto era iniziato a poche centinaia di metri da South Kensington, luogo dove casualmente ma non troppo ebbe inizio la storia del gruppo formato da Brian Molko e Stefan Olsdal, quelli forti come l'amore. Rumorosi come l'amore. Perché tanto esso è intimo e privato nelle segrete stanze, quanto muta forma ma non contenuti se condiviso con altri, sconosciuti e non. Le rotaie ad accompagnare il tragitto verso la fermata di Fulham Broadway e d'improvviso in mezzo a palazzi, hotel e ristoranti: il luogo di questa messa pagàna, di questo canto d'amor che fa tremare il cuore. E fa tremare lo stadio. Stamford Bridge si era presentato in tutta la sua composta maestosità, forte dei numeri che però a volte non bastano. E difatti non son bastati quarantamila vestiti di blu a contrastare lo spicchio di Shed End dove dominava il colore dell'amore. Hanno portato un briciolo di anarchia nel regno della sobrietà, smascherando i limiti di un modello capace di svuotare di passione gli stadi. E mentre gli altri si alzavano quando la sfera superava la metà campo, per poi tornar seduti nella propria trequarti; loro strillavano e danzavano in un tango di complicità. La complicità dell'anima. Gli altri tentavano di coordinarsi distrattamente, loro invece fiume impetuoso e i seggiolini e le reti come sponde incapaci di contenerli. Code di lupo che non hanno voluto credere al Dio degli inglesi, che hanno sfidato a colpi di voce e battimani un inizio che sembrava presagire qualcosa di brutto, ingiusto, irreparabile.

"Sì sì vincerà questa Roma vincerà", cantavano mentre la Roma era in svantaggio: la miopia degli innamorati. Si sono uniti intorno ad essa crollando come una slavina quando un terzino arrivato tra i mugugni ha voluto ribadire di che pasta fosse fatto. Quella pasta messa in mostra sotto al settore, con uno sguardo di rabbia e intimidazione verso un giovane e furbetto raccattapalle. Hanno continuato senza tregua bussando alle porte del Paradiso, comea chiedere permesso e se, casomai, ci fosse spazio anche per loro. Eccome se c'era e la chiave aveva l'impugnatura a forma di un diamante venuto da Sarajevo capace di impattare al volo di sinistro un lungo lancio, spedendo nuovamente la sfera in rete mentre a mezzo metro dal campo c'erano uomini e donne, giovani e meno ammassati in un urlo di gioia simile ad un quadro: il caos perfetto. "Beware flying footballs" recitava un cartellone a pochi passi dalla prima fila; avrebbero dovuto avvertire i tifosi di casa della presenza di romanisti volanti. Quelli che mentre urlavano a gran voce di voler stare solo con lei hanno visto la Roma ribaltare il risultato, piombando letteralmente a ridosso del campo per incrociare il loro sguardo con quello degli uomini vestiti di bianco. Di un bianco puro e autentico come la loro passione. Ci sono non vittorie che non sono pareggi né tantomeno sconfitte: perché osservandoli mentre tornavano nella Capitale non sembrava certo di vedere qualcuno che ha prima rimontato e poi subito una rimonta. Eran sorrisi, occhi stanchi e arrossiti, gambe e braccia indolenzite dall'urto di quelle tre slavine giallorosse. Ma soprattutto c'erano uomini e donne senza voce. E per una volta a questo "Dio senza fiato" bisogna crederci: loro sono i leoni di Stamford Bridge.

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